Parigi, 15 aprile 2019. Sono le 18:50 quando le prime fiamme si alzano nel cielo primaverile. Notre-Dame de Paris, cuore pulsante della capitale francese, uno dei simboli più amati d’Europa, sta bruciando.
Nel giro di pochi minuti, le immagini fanno il giro del mondo: il tetto della cattedrale gotica è avvolto dalle fiamme, la guglia centrale – la “flèche” – si piega lentamente, quasi in un gesto di resa, e poi crolla, inghiottita dal fuoco. È un colpo al cuore per milioni di persone.
In Italia, le edizioni straordinarie dei TG interrompono i palinsesti serali. I social esplodono. Non si tratta solo di un edificio religioso, ma di un patrimonio dell’umanità, un’icona letteraria (Victor Hugo e il suo Notre-Dame de Paris), un simbolo di identità, di resistenza, di bellezza.
Notre-Dame è sopravvissuta alla Rivoluzione Francese, a due guerre mondiali, all’occupazione nazista. Ma non alle fiamme di quel lunedì sera. Fortunatamente, la struttura principale regge. Le due torri rimangono in piedi. I pompieri – tra cui anche una squadra specializzata in salvataggio di opere d’arte – riescono a portare in salvo la corona di spine, il mantello di San Luigi e molti tesori custoditi all’interno.
Emmanuel Macron, quella sera, dichiara con emozione:
“La ricostruiremo. Tutti insieme.”
E l’Italia risponde subito: restauratori, architetti, imprenditori offrono supporto. L’eco è globale. Milioni di euro vengono raccolti in poche ore. Notre-Dame non è solo francese: è di tutti.
Oggi, a cinque anni dall’incendio, i lavori di ricostruzione proseguono. La promessa è di riaprirla al pubblico entro il dicembre 2024. Ma il 15 aprile rimarrà per sempre il giorno in cui l’Europa si scoprì fragile, ma unita.
Un giorno in cui la bellezza, anche se colpita, ha resistito.
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