Esistono molti autori in grado di evocare una reazione di orrore e spavento nei propri lettori. Ciò che distingue Shirley Jackson, però, è la sua profonda e analitica comprensione di tali reazioni. L’incubo di Hill House non è solo una storia di paura, ma diventa un vero e proprio studio della psiche umana e della letteratura dell’orrore. Un tipo di lettura e di interpretazione del genere gotico che trova il suo predecessore nel romanzo The turn of the screw, pubblicato dall’autore Henry James nel 1898.
Avventurarsi tra le pagine de L’incubo di Hill House significa perdere l’orientamento nei tetri corridoi di una casa che trasuda malvagità, ma anche smarrirsi nel labirinto contorto di una psiche fragile e disturbata. Qui, come ci racconta il finale stesso del romanzo, il confine tra visioni di una realtà concreta e deliri immaginativi non solo è indefinito, non è concepibile.
L’incubo di Hill House
Ci troviamo alle porte di una casa abominevole, un edificio che incombe sulle sue vittime dall’alto della collina su cui si erge, con le sue forme distorte e infette, vigile e in attesa come un ragno sulla sua tela. Hill House viene estremamente umanizzata nelle descrizioni che la riguardano, fino a diventare essa stessa la protagonista viva e vegeta del romanzo. Le sue pareti osservano, bisbigliano e sghignazzano dietro i suoi sgraditi inquilini.
Si tratta, quindi, di un classico esempio di casa infestata? Partiamo dal principio, leggendo uno degli incipit, a parer mio, più efficaci e folgoranti della letteratura:
Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni. Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant’anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola.
Eleanor Vance è una dei quattro malcapitati che trascorrono alcuni giorni all’interno di Hill House. Una donna sulla trentina, in fuga dalle macerie di una vita scialba e profondamente infelice, reduce dal recente lutto della madre. Ad accompagnarla troviamo il dottor Montague, antropologo e ricercatore di fenomeni paranormali, Luke, erede di Hill House, e Theodora, un’artista esuberante con cui Eleanor instaurerà una sorta di relazione di amore-odio.
L’intreccio principale della trama prende quindi il via dal proposito di indagare i misteri sovrannaturali che si nascondono tra le mura di Hill House. Una sorta di “caccia ai fantasmi” che assume sin dalla descrizione della struttura distorta della casa contorni decisamente sinistri.
Tuttavia, nonostante la storia non sia priva di avvenimenti paranormali (manifestazioni di poltergeist, scritte sui muri, sussurri agghiaccianti, battiti sulle porte e, più di ogni altra cosa, il gelo inspiegabile che investe i corridoi della casa, proveniente dalla “camera delle bambine”), la centralità rimane ancorata alla sfera delle percezioni soggettive dei singoli personaggi. Ognuno di loro sperimenta una relazione esclusiva con la casa, in modo particolare la fragile Eleanor. L’inquietudine che l’edificio esercita su di loro si manifesta in maniera sottile e ambigua, poiché i rumori e le apparizioni paranormali non vengono percepiti da tutti i presenti, e dunque sembrano suggestioni, collettive o solitarie.
Ma è a Eleanor che la casa sembra rivolgersi in tutte le sue azioni. La malinconica solitudine che ha marchiato a fuoco la sua infanzia e il suo passato la spingono a legarsi in modo ossessivo a Hill House, teatro di un’esperienza che, per la prima volta, la fa sentire davvero viva.
La casa come protagonista
Hill House, infatti, non è solo il palcoscenico del dramma, ma è la vera protagonista, che invita i suoi nuovi inquilini a esplorarla, a metterne a nudo i misteri. Notte dopo notte le descrizioni la rendono sempre più vicina a un essere vivente. Una creatura mostruosa e imponente che pare prendere vita e vigore dalle manie e dalle angosce di Eleanor, nutrendosi dei suoi tormenti interiori sempre più ossessivi e pulsanti.
L’occhio umano non può isolare l’infelice combinazione di linee e spazi che evoca il male sulla facciata di una casa, e tuttavia per qualche ragione un accostamento folle, un angolo sghembo, un convergere accidentale di tetto e cielo, facevano di Hill Hours un luogo di disperazione, tanto più spaventoso perché la facciata sembrava sveglia, con le finestre vuote e vigili a un tempo e un tocco di esultanza bel sopracciglio di un cornicione.
Un viaggio angosciante e claustrofobico
Per quanto la narrazione orrorifica del romanzo sembri costruita sul topos letterario della casa infestata, Shirley Jackson non intende sconvolgere il lettore con orride creature o raccapriccianti colpi di scena; anzi, ritrae la paura insediata in una mente prostrata dal lutto e profondamente disturbata, in balìa dell’atmosfera sinistra che permea Hill House, e proiettata tra le mura della casa stessa.
La sua è un’atmosfera sinistra e strisciante, che sin dalle prime pagine insinua nel lettore nient’altro che un’inquietudine sottile e un costante senso di pericolo imminente. Un brivido che non porta a sussultare sulla sedia, ma evoca la stessa sensazione di malessere e smarrimento che sperimentano i personaggi. Pagina dopo pagina il senso dell’orientamento e dell’equilibrio dei quattro inquilini, ma anche del lettore stesso, si sgretola di fronte alle innumerevoli porte chiuse della casa, ai suoi pavimenti inclinati e alle camere senza finestre.
Il filo di Arianna, in questo caso, il lettore lo può trovare nella propria immaginazione. La Jackson ci illude che il racconto sia stato lasciato in sospeso, che non vi sia alcuna risoluzione al termine di questo viaggio angosciante e claustrofobico. In realtà, il romanzo si rivela vincente proprio per questo suo “non detto”.
Si possono utilizzare diverse chiavi di lettura per decodificare il significato del finale e per chiudere, finalmente, le porte di Hill House. Gli avvenimenti paranormali che infestano la casa potrebbero essere frutto di un delirio psichico collettivo, oppure allucinazioni nate da un grave cedimento mentale di Eleanor, scivolata nell’abisso della follia. Oppure le mura di Hill House potrebbero racchiudere al loro interno un luogo che elude le barriere e gli schemi dello spazio e del tempo, abitato davvero da una presenza ultraterrena (chi lo sa, forse Eleanor stessa).
Solo in questo modo il lettore che si avventura nei corridoi di Hill House può mantenere l’orientamento per non scivolare nella follia labirintica delle sue trame.
Siamo noi a scegliere.
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