Se un’autorità legittima ti ordinasse di fare del male a qualcuno, obbediresti? È la domanda a cui lo psicologo Stanley Milgram cercò di rispondere con uno degli esperimenti più controversi del XX secolo.
Nel 1961 Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili dell’Olocausto, sedeva al banco degli imputati durante il Processo di Gerusalemme. Appariva come un uomo magro, occhialuto, dall’atteggiamento remissivo. Quando gli venne chiesto conto dei suoi crimini, si difese sostenendo di aver semplicemente eseguito ordini superiori, senza alcuna intenzione personale.
Hannah Arendt, che seguì il processo, coniò il concetto di “banalità del male” per descrivere come individui apparentemente ordinari possano diventare strumenti di atrocità. Milgram, giovane ricercatore della Yale University, colse l’enorme portata della questione e si chiese fino a che punto la dichiarazione di Eichmann potesse contenere un fondo di verità.
La sua ipotesi era tanto inquietante quanto fondamentale: il conformismo all’autorità non solo modifica i comportamenti e i giudizi individuali, ma può spingere chiunque a compiere azioni moralmente riprovevoli contro altre persone. Nessuno escluso.
L’esperimento di Milgram
Per testare la sua teoria, Milgram progettò un esperimento che coinvolgeva tre persone per ogni sessione. Due di loro erano complici dello scienziato, mentre il terzo, il vero soggetto sperimentale, non era a conoscenza del trucco.
Il primo complice interpretava l’Allievo, che doveva memorizzare e ripetere sequenze di parole. Il secondo vestiva i panni dello Sperimentatore, ovvero l’autorità. Il vero partecipante assumeva invece il ruolo di Insegnante, incaricato di punire gli errori dell’Allievo con scosse elettriche di intensità crescente.
Le urla, gli svenimenti e le suppliche del finto Allievo erano ovviamente simulati, ma il soggetto ignaro non ne era al corrente. Non sapeva nemmeno che il vero obiettivo dello studio fosse proprio lui.
Quando le scosse aumentavano di intensità, molti soggetti tentavano di fermarsi, ma bastavano poche frasi rassicuranti dello Sperimentatore – “Non è una vostra responsabilità” o “Dovete proseguire” – per far sì che la maggioranza continuasse.

I risultati inquietanti
Quanti si sarebbero fermati prima di infliggere il massimo dolore? La maggior parte, si potrebbe pensare. E invece no: il 65% dei partecipanti arrivò fino alla fine, somministrando le scosse più potenti. Alle domande sul perché avessero proseguito, le risposte furono sorprendenti nella loro semplicità: «Mi hanno detto di farlo», «Non avevo scelta», «Seguivo solo gli ordini».
L’elemento comune di queste risposte? La deresponsabilizzazione. L’autorità aveva annullato il senso di colpa individuale, inducendo i partecipanti a non sentirsi più moralmente responsabili delle proprie azioni.
Eppure, nessuno li costringeva. Nessuno minacciava punizioni per chi si fosse rifiutato. Nonostante ciò, più della metà dei partecipanti accettò di proseguire fino in fondo.

Siamo tutti potenziali Eichmann?
Secondo Milgram, la risposta è inquietante: sì. Chiunque può trasformarsi in un ingranaggio di un sistema distruttivo se messo nelle giuste condizioni. Di fronte a un’autorità riconosciuta, la capacità di giudizio critico si attenua, il senso di responsabilità si dissolve e le persone si considerano semplici esecutori di ordini.
«Tanto, la colpa non è mia, mi è stato ordinato di farlo». Questo è il meccanismo psicologico che porta individui comuni a diventare strumenti di oppressione e violenza. Eppure, esiste una speranza: solo una minoranza di persone possiede la consapevolezza e gli strumenti morali per resistere a un ordine ingiusto.
L’esperimento di Milgram non è solo uno studio accademico, ma un monito. Una riflessione inquietante su chi siamo e su cosa potremmo diventare di fronte all’autorità.
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