Southampton, 10 aprile 1912. Il cielo è limpido, l’atmosfera vibrante. Al porto, una folla si raduna per assistere alla partenza di una meraviglia mai vista prima: il Titanic, la nave più grande, lussuosa e tecnologicamente avanzata mai costruita.
A bordo, oltre 2.200 persone: aristocratici, imprenditori, emigranti pieni di speranza. Tutti uniti da un destino inconsapevole. Il Titanic non era solo un transatlantico. Era il simbolo dell’ambizione umana, della fiducia cieca nel progresso. Lo chiamavano “inaffondabile”. Ma il destino aveva altri piani.
Costruito a Belfast, lungo quasi 270 metri, dotato di sale da ballo, ristoranti di prima classe, biblioteche e persino una piscina, rappresentava il trionfo dell’ingegneria moderna. Ma dietro la grandiosità si nascondevano compromessi: pochi scialuppe di salvataggio e una gestione della sicurezza più che discutibile.
Dopo la partenza, il Titanic fece tappa a Cherbourg (Francia) e Queenstown (Irlanda), prima di lanciarsi nell’Atlantico verso New York. Ma la notte del 14 aprile, quattro giorni dopo la sua partenza, il sogno si spezzò. Un iceberg colpì il gigante dei mari. In meno di tre ore, la nave scomparve nelle acque gelide. Più di 1.500 persone morirono.
L’epopea del Titanic non è solo una tragedia del mare: è una lezione eterna sull’arroganza, sulla fragilità della vita e sulla necessità di umiltà di fronte alla natura.
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