11 aprile 1970. Ore 13:13 (ora locale). Dal Kennedy Space Center in Florida parte la missione Apollo 13, la terza destinata a portare l’uomo sulla Luna. A bordo, gli astronauti Jim Lovell, Jack Swigert e Fred Haise. Ma quella missione entrerà nella storia non per ciò che ha raggiunto, bensì per ciò che è riuscita a evitare: una catastrofe.
Dopo due giorni di viaggio, a oltre 300.000 chilometri dalla Terra, un’esplosione squarcia il modulo di servizio. Una frase, trasmessa con voce calma ma carica di tensione, scuote la NASA e il mondo intero:
“Houston, abbiamo avuto un problema.”
Il sogno di camminare sulla Luna svanisce. Ora l’unico obiettivo è tornare vivi a casa. I sistemi si spengono, il freddo avvolge l’equipaggio, le risorse scarseggiano. Gli astronauti si rifugiano nel LEM, il modulo lunare, usato come zattera spaziale di fortuna.
Inizia una corsa contro il tempo. La NASA lavora giorno e notte, improvvisa soluzioni, simula ogni passaggio. Il mondo assiste col fiato sospeso. E il 17 aprile, incredibilmente, l’Apollo 13 ammara sano e salvo nell’Oceano Pacifico.
L’Apollo 13 è diventato il simbolo di una delle più grandi imprese di ingegneria e problem solving della storia. Non fu un fallimento, ma un trionfo di ingegno, sangue freddo e collaborazione.
Una prova che, anche quando tutto sembra perduto, l’umanità può ancora stupire se stessa.
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