Il 10 aprile 1970, il mondo della musica cambia per sempre. In una Londra già inquieta per le trasformazioni culturali e politiche di quegli anni, Paul McCartney annuncia ufficialmente che sta lasciando i Beatles. È la fine di un’epoca.
La notizia si diffonde come un fulmine a ciel sereno. I telegiornali ne parlano, i giornali stampano titoloni a tutta pagina. Anche in Italia, il Corriere della Sera e La Stampa dedicano articoli al terremoto musicale: “I Beatles si sono sciolti”, si legge tra le cronache estere.
Per i fan italiani, che avevano scoperto i Fab Four con brani come She Loves You o Help!, e che cantavano a squarciagola le versioni italiane incise da complessi come i Dik Dik o i Camaleonti, fu un piccolo lutto collettivo.
I Beatles non erano solo una band: erano un fenomeno globale che aveva toccato anche il cuore dell’Italia anni Sessanta. Avevano rivoluzionato il modo di pensare la musica pop, introdotto sonorità nuove, contaminato generi, lanciato messaggi pacifisti in un’epoca segnata da proteste, guerre e cambiamenti.
Il motivo dello scioglimento? Non ce n’è uno solo. Le tensioni interne, le divergenze creative, le pressioni esterne. Ma soprattutto, la consapevolezza di aver detto tutto quello che c’era da dire. E di voler cominciare strade diverse.
McCartney pubblica una sorta di comunicato stampa, allegato al suo primo album solista, in cui dichiara:
“Non prevedo di scrivere ancora con John”.
È finita davvero.
L’Italia, come il resto del mondo, resta orfana. Ma la leggenda era già scolpita.
Il 10 aprile 1970 non è la fine dei Beatles. È l’inizio del mito.
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