Nel 1943, nel pieno della Seconda guerra mondiale, gli Alleati misero in atto uno dei più audaci e strani inganni militari mai realizzati: si chiamava Operazione Mincemeat. Il piano prevedeva l’uso di un cadavere, travestito da ufficiale britannico, per far credere ai nazisti che l’imminente sbarco nel Mediterraneo non sarebbe avvenuto in Sicilia, come in realtà previsto, ma altrove. Il trucco funzionò, e l’esito dell’operazione influenzò direttamente il successo dell’invasione alleata del sud Europa.
Oggi, a distanza di oltre 80 anni, l’Operazione Mincemeat nella Seconda guerra mondiale viene studiata come esempio perfetto di disinformazione strategica, combinazione di creatività, cinismo e intelligenza militare.
Il contesto: l’Europa nel 1943
All’inizio del 1943, dopo la vittoria in Nord Africa, gli Alleati si preparavano a sbarcare in Europa continentale. L’Italia fascista era ormai in difficoltà e rappresentava il punto debole dell’Asse. La Sicilia era la scelta più logica per aprire un nuovo fronte, ma proprio per questo motivo i comandi alleati temevano che i tedeschi avrebbero rafforzato le difese sull’isola.
Serviva un diversivo, qualcosa che convincesse l’Alto Comando tedesco che l’invasione sarebbe avvenuta da un’altra parte, come la Sardegna o la Grecia. Da qui nacque l’Operazione Mincemeat.
Il piano: disinformare con un cadavere
L’idea venne formalizzata da due ufficiali dell’intelligence britannica: Ewen Montagu e Charles Cholmondeley. Il piano era tanto macabro quanto brillante: far ritrovare ai nemici il corpo di un finto ufficiale britannico naufragato con documenti segreti che indicavano falsi piani di invasione.
Il corpo doveva sembrare quello di un ufficiale morto in un incidente aereo. Addosso, avrebbe avuto una valigetta con finti documenti ultra-riservati, redatti con cura per sembrare autentici. L’obiettivo era semplice: far cadere la falsa informazione nelle mani dei servizi segreti nazisti tramite il governo spagnolo, ufficialmente neutrale ma molto vicino alla Germania.
Il “maggiore Martin” e la sua falsa identità
Il cadavere usato nell’Operazione Mincemeat apparteneva a un uomo realmente morto a Londra, probabilmente un senzatetto gallese di nome Glyndwr Michael, deceduto per avvelenamento da fosfuro di zinco. Il corpo fu conservato in condizioni particolari per impedire la decomposizione, e trasformato nel “maggiore William Martin”, un ufficiale dei Royal Marines.
Gli agenti britannici curarono ogni dettaglio della sua identità fittizia: biglietti del teatro, una lettera della fidanzata, ricevute, lettere personali e persino una foto. Ma soprattutto, nella valigetta impermeabile legata al polso, c’erano lettere top-secret tra ufficiali inglesi che parlavano di un’invasione imminente in Grecia e Sardegna, non in Sicilia.
L’atterraggio in Spagna
Il 30 aprile 1943 il corpo del “maggiore Martin” fu lasciato al largo della costa vicino a Huelva, in Spagna. Il luogo era stato scelto con attenzione: il regime spagnolo era ufficialmente neutrale, ma i servizi tedeschi avevano numerosi contatti locali. Come previsto, le autorità spagnole recuperarono il cadavere e trasmisero tutto — documenti inclusi — all’ambasciata tedesca.
Gli inglesi lasciarono volutamente passare alcune settimane prima di reclamare i documenti. Quando questi furono restituiti, era chiaro che erano stati aperti e copiati: l’inganno aveva funzionato.
La reazione tedesca
I servizi di intelligence nazisti credettero ai documenti. Hitler in persona ordinò il rafforzamento delle difese in Grecia e Sardegna, e trasferì divisioni corazzate lontano dalla Sicilia. L’informazione era stata ritenuta credibile anche grazie al lavoro della propaganda e della diplomazia britannica, che aveva diffuso altre “soffiate” per corroborare il contenuto dei documenti falsi.
Il 9 luglio 1943 gli Alleati sbarcarono in Sicilia con l’Operazione Husky, trovando resistenza molto più debole del previsto. L’invasione fu un successo e segnò l’inizio della caduta del regime fascista italiano.
L’Operazione Mincemeat nella Seconda guerra mondiale non solo contribuì in modo diretto al successo dello sbarco in Sicilia, ma divenne anche un modello per le operazioni di guerra psicologica e di inganno strategico. Fu parte integrante del più ampio “Operation Barclay”, un piano complesso di diversivi e depistaggi che accompagnarono le manovre militari alleate.
La sua riuscita dimostrò quanto la guerra moderna non si combatteva solo con eserciti e armi, ma anche con informazioni, apparenze e finzione controllata.
Per anni, l’intera vicenda fu mantenuta segreta. Solo nel 1953 Ewen Montagu pubblicò il libro The Man Who Never Was, che raccontava la storia (ancora in parte censurata) dell’Operazione Mincemeat. Ne fu tratto anche un film. Solo nei decenni successivi, grazie all’apertura degli archivi e a nuove ricerche, si conobbero tutti i dettagli.
Nel 2021, la vicenda è tornata alla ribalta grazie a un nuovo film, Operation Mincemeat, tratto dal saggio di Ben Macintyre, che ha ricostruito l’intera operazione con documenti aggiornati. Il cadavere usato per l’inganno è sepolto con onori militari a Huelva, sotto la lapide con il nome falso: “William Martin, nato nel 1907, morto nel 1943”.
L’Operazione Mincemeat nella Seconda guerra mondiale rimane un caso di studio per gli analisti di intelligence, strategia militare e comunicazione. È la dimostrazione che un’informazione falsa, se costruita bene e diffusa nei canali giusti, può modificare decisioni concrete sul campo.
In un’epoca in cui la disinformazione è un tema centrale anche in ambito civile, politico e digitale, il caso di un cadavere trasformato in strumento bellico resta emblematico. Non solo per l’assurdità del piano, ma per la sua efficacia.
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