Oggi: 18 Agosto 2025
23 Maggio 2025
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Gaza Humanitarian Foundation: l’ONG voluta da Israele per controllare gli aiuti a Gaza

Israele aiuti gaza

Israele sta cercando di centralizzare completamente la gestione degli aiuti umanitari destinati alla Striscia di Gaza. Il piano prevede che entro la fine di maggio, tutti gli aiuti alimentari e di prima necessità destinati ai circa due milioni di palestinesi a Gaza vengano gestiti da una sola organizzazione: la Gaza Humanitarian Foundation (GHF). Questa ONG, registrata l’11 febbraio 2025 in Svizzera, è stata creata ex novo e gode del sostegno diplomatico degli Stati Uniti. Tuttavia, non ha ancora fornito una lista pubblica dei suoi finanziatori, sollevando preoccupazioni sulla trasparenza e sull’indipendenza del progetto.

L’intenzione del governo israeliano è quella di escludere le centinaia di organizzazioni non governative già operative nella Striscia – circa 200 tra ONG locali e internazionali, oltre a 15 agenzie delle Nazioni Unite – che finora hanno garantito la distribuzione di cibo, acqua, medicinali e altri beni essenziali alla popolazione assediata. L’obiettivo dichiarato è quello di semplificare e “razionalizzare” gli interventi umanitari. Ma la realtà potrebbe essere molto diversa.

Meno punti di distribuzione, più controllo: cosa cambia per i palestinesi

Secondo fonti diplomatiche riportate da Haaretz e dal Financial Times, il piano israeliano comporta una drastica riduzione dei punti di distribuzione del cibo. Attualmente, questi centri sono circa 400, distribuiti lungo l’intera Striscia. Il nuovo modello, invece, ne prevede solo quattro, più grandi, che dovrebbero essere sorvegliati da mercenari assoldati da due compagnie di sicurezza private. Questi contractor, già presenti in Israele, avrebbero il compito di gestire la sicurezza degli accessi, in stretta collaborazione con l’esercito israeliano.

Questi centri di distribuzione, chiamati Secure Distribution Sites (SDS), verranno posizionati esclusivamente nel sud della Striscia di Gaza. Questo significa che la popolazione palestinese residente a nord – che già ha subito bombardamenti, sfollamenti e devastazioni – si troverà costretta a migrare verso sud per avere accesso ai beni di sopravvivenza. Si tratta, nei fatti, di un trasferimento forzato, che contribuisce allo svuotamento graduale del nord della Striscia: un obiettivo strategico della campagna militare israeliana in corso.

Biometria e sfollamenti: il volto tecnologico della pressione umanitaria

Già a inizio maggio, l’esercito israeliano aveva parlato apertamente della possibilità di concentrare la distribuzione degli aiuti in pochi grandi hub, accessibili solo previa identificazione biometrica. Tecnologie come il riconoscimento facciale o altre forme di tracciamento sarebbero usate per identificare i palestinesi ai cancelli. Le agenzie dell’ONU, tra cui UNICEF, hanno respinto categoricamente questa proposta, denunciando il rischio di usare gli aiuti umanitari come strumento di controllo politico e militare.

James Elder, portavoce di UNICEF, ha parlato di una deriva inaccettabile: “Queste pratiche consolidano ulteriormente gli sfollamenti forzati per scopi politici e militari. Gli aiuti umanitari non devono mai diventare merce di scambio”. Le parole sono chiare: il nuovo assetto proposto non mira solo a fornire aiuti, ma a riorganizzare la vita dei civili palestinesisecondo logiche militari.

Chi c’è dietro la Gaza Humanitarian Foundation

Una presentazione interna visionata dal sito Axios rivela alcune informazioni sulla struttura della Gaza Humanitarian Foundation. Il direttore operativo sarebbe Jake Wood, un ex marine statunitense noto per aver fondato Team Rubicon, una ONG attiva in interventi d’emergenza in aree colpite da disastri. Tra i nomi coinvolti come consulenti figurerebbero anche David Beasley, ex direttore del World Food Programme, e Nate Mook, ex direttore di World Central Kitchen, ONG che ha subito un attacco letale da parte dell’esercito israeliano nell’aprile 2024, quando tre suoi veicoli sono stati bombardati e sette volontari uccisi.

Mook ha pubblicamente smentito la sua adesione al progetto, e lo stesso ha fatto Tony Blair, l’ex primo ministro britannico, che secondo alcune fonti sarebbe stato consultato informalmente. Il fatto che molti dei nomi citati si siano poi dissociati lascia ulteriori interrogativi sul reale sostegno internazionale alla GHF e sulla sua credibilità.

Cibo come arma: il blocco totale e la riapertura controllata

Il contesto in cui nasce la GHF è segnato da un’escalation nella gestione politica degli aiuti umanitari. Il 2 marzo, il governo Netanyahu ha imposto un blocco totale agli arrivi di cibo, carburante e medicinali a Gaza. Solo dopo dieci settimane, il 19 maggio, il premier ha annunciato una parziale riapertura, motivata con ragioni “pratiche e diplomatiche”. Ha dichiarato che lasciare morire di fame la popolazione avrebbe potuto minacciare il proseguimento dell’operazione militare contro Hamas. Il ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha però criticato la decisione, giudicandola un errore politico e una concessione non condivisa dal governo.

In questo quadro, la creazione di una nuova ONG “ufficiale”, nata sotto l’egida di Israele e sostenuta da privati non noti, rischia di diventare un’arma politica travestita da soluzione umanitaria. L’accentramento, il controllo militare, la gestione tecnologica degli accessi e la riduzione dei punti di distribuzione sono segnali di una trasformazione inquietante dell’assistenza umanitaria in strumento di pressione e di dominio.

Quando l’aiuto diventa controllo

Il caso della Gaza Humanitarian Foundation solleva questioni urgenti: chi controlla gli aiuti? Chi decide chi ha diritto a mangiare e chi no? E soprattutto: come si può parlare di umanitarismo in un contesto dove la sopravvivenza viene subordinata a scelte strategiche e militari?

Rendere trasparente il funzionamento di queste organizzazioni, vigilare sulla loro indipendenza e soprattutto garantire che l’accesso al cibo non venga mai usato come leva politica, è oggi una responsabilità non solo delle istituzioni internazionali, ma anche dell’opinione pubblica.

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Riminese, classe 1997. Direttrice editoriale di LaLettera22, un portale di informazione nato con l’obiettivo di raccontare la complessità del mondo attraverso l’approfondimento e la divulgazione di varie tematiche culturali.

Dopo la laurea in Lettere e culture letterarie europee presso l’Università di Bologna, ha proseguito il suo percorso accademico specializzandosi in Giornalismo e cultura editoriale all’Università di Parma. Da sempre appassionata di storia, geopolitica e comunicazione, ha trasformato il suo interesse in una missione divulgativa, lanciando il progetto Lettera22 sui social per rendere la cultura più accessibile e stimolare il dibattito su temi di attualità.

Oltre a dirigere il portale, lavora come articolista e social media manager, curando strategie editoriali e contenuti per il web. Il suo lavoro unisce analisi critica, narrazione e innovazione digitale, con l’obiettivo di avvicinare il pubblico a temi spesso percepiti come distanti, rendendoli fruibili e coinvolgenti.

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