Oggi: 8 Agosto 2025
26 Maggio 2025
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Adriana Smith è morta. Ma la sua gravidanza no: cerebralmente morta, ma tenuta in vita perché incinta

Adriana smith

Quando la legge decide che neppure la morte può fermare la gestazione, il corpo femminile diventa solo un contenitore. Anche dopo la vita.

In questo momento, in una stanza d’ospedale della città americana di Atlanta, giace Adriana Smith, infermiera e madre di 30 anni. È in stato di morte cerebrale da più di 90 giorni, collegata alle macchine di supporto vitale.

Adriana Smith è incinta.

Questa notizia, sconcertante e surreale, ha diviso il pubblico mediatico. In molti si chiedono: perché una donna, clinicamente morta, dovrebbe essere tenuta in vita artificialmente solo per portare a termine una gravidanza?

La risposta risiede nella legge dello stato della Georgia. Più precisamente, nel Living Infants Fairness and Equality (LIFE) Act, conosciuto anche come “Heartbeat Bill”. Questo testo legislativo, contenuto nel House Bill 481 del 2019 ed entrato in vigore nel luglio 2022, vieta l’aborto non appena il battito del feto è rilevabile – intorno alle sei settimane di gestazione.

Un divieto radicale. Anche nei casi di incesto o stupro, le eccezioni sono minime. L’impatto è chiaro: il controllo della gravidanza viene sottratto alla donna viva e, in casi estremi come questo, anche a quella morta.

@lettera22_

Adriana Smith è morta. Ma la sua gravidanza no. In Georgia, negli Stati Uniti, il corpo di una donna clinicamente morta da oltre 90 giorni viene mantenuto artificialmente in vita solo perché è incinta. #adrianasmith #aborto #abortionrights

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Nessun potere decisionale, nemmeno alla famiglia

Cosa ha detto l’ospedale alla famiglia Smith? Non lo sappiamo. Ma secondo le testimonianze della madre, la famiglia non avrebbe avuto voce in capitolo nella decisione. Anche se avrebbero voluto il bambino, perché parte della loro figlia, non hanno avuto alcun potere decisionale.

Sappiamo solo che Adriana era incinta di circa nove settimane quando si è rivolta a un medico per un forte mal di testa. È stata mandata a casa con dei farmaci. Il giorno seguente, la situazione è precipitata: portata d’urgenza in ospedale, una TAC ha evidenziato coaguli multipli nel cervello. È stata dichiarata morte cerebrale.

Un corpo trasformato in incubatrice

La gravidanza è stata proseguita nonostante la sua morte. Ma quali saranno le conseguenze? La famiglia non è stata informata riguardo a possibili malattie o disabilità della bambina che potrebbe nascere.
Una domanda inquietante rimane: quali diritti ha un feto in un corpo morto? E quali ne ha la famiglia che resta?

Agire “correttamente” per chi?

Secondo molti Repubblicani, la decisione dell’ospedale non ha nulla a che fare con una visione antiabortista. Eppure, alcuni sostenitori del Heartbeat Ban, come il senatore repubblicano Ed Setzler, hanno sostenuto pubblicamente che l’ospedale abbia “agito correttamente.”

Ma per chi, esattamente? Per la vita? Per la legge? Per un feto? Di certo non per Adriana Smith. E nemmeno, forse, per la bambina che ne potrebbe derivare.

Quando la vita è solo un’ideologia

Ciò che sta accadendo non è una celebrazione della vita. Non è un miracolo. È una cooptazione della morte, un esperimento medico spaventoso portato avanti su un corpo ormai privo di coscienza, volontà, voce.

La tragedia di Adriana Smith è stata aggravata da un contesto legale che considera la donna incinta secondaria rispetto al feto, anche nella sua morte.

Una domanda inevitabile

Il caso Smith solleva interrogativi fondamentali: quando uno Stato impone la prosecuzione di una gravidanza su un corpo senza vita, di chi è davvero il corpo? Di chi è il potere di decidere, quando nemmeno la famiglia può intervenire?

Se la legge ritiene che una donna morta debba restare “in vita” per completare una gravidanza, allora non siamo più nel campo dell’etica medica. Siamo nel pieno del controllo politico e ideologico sul corpo femminile.

E Adriana Smith, oggi, non può più opporsi.

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Pavese, classe 2005. Ha intrapreso un percorso di studi in Psicologia, che ha abbandonato per iscriversi a Lettere Moderne presso l’Università di Torino, legandosi al mondo del giornalismo e della divulgazione.
Nel giugno 2024 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie con la casa editrice Dantebus, in seguito alla vittoria di un concorso nazionale.
Appassionata di storia, politica e cultura, coltiva un interesse costante per l’evoluzione del pensiero e il ruolo della parola nel dibattito pubblico, promuovendo il bisogno per la società della scrittura e lettura come mezzo di conoscenza più profondo.

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