Nella grande cornice della Seconda guerra mondiale si sono mossi eserciti, generali e potenze, ma ogni tanto emerge una figura capace di scolpirsi da sola un posto nella leggenda: è il caso di Amedeo Guillet. L’ufficiale italiano che combatté l’Impero britannico in Eritrea a cavallo, alla guida di un esercito irregolare, e che passò alla storia con il soprannome di “Comandante Diavolo”.
Una vita che sembra uscita da un romanzo d’avventura: militare, diplomatico, nobile di nascita e profondo conoscitore del mondo arabo, Guillet è uno di quei personaggi la cui biografia sembra scritta per il cinema, eppure è tutto vero. Non a caso, il suo nome è ancora oggi circondato da un’aura quasi mitica, soprattutto per le gesta compiute durante la campagna d’Africa.
Un giovane ufficiale tra le due guerre
Amedeo Guillet nasce a Piacenza il 7 febbraio 1909, da una famiglia dell’aristocrazia piemontese. Dopo l’Accademia Militare di Modena, partecipa giovanissimo alla guerra in Libia e alla campagna d’Etiopia. La sua carriera militare lo porta a confrontarsi con contesti difficili e complessi, ma è in Eritrea che si compie il suo destino.
Nel 1940, con l’Italia entrata nella Seconda guerra mondiale, Guillet viene incaricato di organizzare un reparto di cavalleria coloniale in Eritrea, la “Compagnia Meharista”. Si tratta di un’unità composta da ascari – soldati locali – che il giovane ufficiale italiano riesce a guidare con una combinazione di carisma, rigore e autentico rispetto culturale.
La battaglia a cavallo
È il 21 gennaio 1941 quando Guillet entra nella leggenda. In piena avanzata britannica, mentre l’Impero d’Etiopia viene riconquistato dagli alleati, Amedeo Guillet guida una carica a cavallo contro i mezzi corazzati inglesi nei pressi di Cherù. Sì, proprio così: cavalli contro carri armati. Un gesto che oggi suonerebbe disperato o persino assurdo, ma che in quel momento rappresenta un atto di puro coraggio e di estrema lealtà ai propri uomini e alla causa.
La carica è feroce e inaspettata, colpisce duramente gli inglesi, ma naturalmente non può ribaltare le sorti del conflitto. Tuttavia, la figura del “Comandante Diavolo” inizia a farsi largo anche tra gli ufficiali britannici, che ammettono apertamente la sua abilità e il suo spirito combattivo. Quel soprannome, “Diavolo”, glielo diedero proprio loro: un modo per descrivere quell’uomo che appariva e scompariva nel deserto come un fantasma.
Quando le truppe italiane vengono definitivamente sconfitte, Guillet non si arrende. Si dà alla macchia, cambia identità, si traveste da somalo, si fa chiamare Ahmed Abdallah Al Redai e organizza una guerriglia solitaria contro gli inglesi per mesi. Vive tra le montagne e i villaggi eritrei, mantenendo un rapporto strettissimo con le popolazioni locali, che continuano a rispettarlo e a proteggerlo.
Per oltre un anno resta in clandestinità, braccato dagli inglesi che lo considerano un nemico pericoloso. Eppure non verrà mai catturato. Vive tra le montagne e i villaggi eritrei, mantenendo un rapporto strettissimo con le popolazioni locali, che continuano a rispettarlo e a proteggerlo.
Solo nel 1942, ormai certo della fine della guerra coloniale, abbandona la lotta e riesce a tornare in Italia, dopo un avventuroso viaggio tra Yemen, Arabia Saudita e il Medio Oriente.
Dalla guerra alla diplomazia
Terminata la guerra, Guillet non è più il comandante che guida uomini armati, ma inizia una nuova vita al servizio della diplomazia italiana. Viene inviato come ambasciatore in diversi paesi, tra cui Yemen, Marocco e India. In particolare, il suo passato, la sua conoscenza del mondo arabo e il rispetto che ancora gli viene tributato in quei territori, lo rendono una figura autorevole, capace di creare ponti tra culture spesso distanti.
Curiosamente, nel dopoguerra ebbe anche l’occasione di incontrare alcuni degli ex nemici britannici, tra cui il generale William Platt. Non c’era odio, ma stima reciproca. La guerra, per quanto feroce, non aveva mai spazzato via l’onore.
Amedeo Guillet muore a Roma nel 2010, all’età di 101 anni. Un secolo attraversato in sella alla Storia, nel vero senso della parola. La sua figura è stata raccontata in documentari, romanzi, articoli e testimonianze. In particolare, la biografia scritta dallo storico britannico Sebastian O’Kelly ha contribuito a far conoscere Guillet anche al pubblico internazionale, sottolineando la straordinarietà di un uomo capace di sfidare le regole della guerra con eleganza, rispetto e un indomabile spirito d’avventura.
Cavalieri come lui non se ne vedono più. E forse è per questo che la storia di Amedeo Guillet continua a farci sognare: perché in un mondo in cui la guerra si combatteva già con i tank e gli aerei, lui decise di combatterla come un cavaliere d’altri tempi. E nonostante tutto, in fondo, vinse.
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