Questo sabato mattina, 17 maggio 2025, la sconcertante notizia: su una chat Whatsapp di studenti dell’istituto superiore di Bassano della Greppa (VI), un sondaggio con su scritto “Chi meritava di più di morire?”. Tra le opzioni del sondaggio Giulia Tramontano, che dopo diversi mesi di avvelenamento, venne uccisa dal suo fidanzato il 27 maggio 2023 con 37 fendenti, per poi bruciarne il corpo esanime, così da eliminare le prove della donna di soli 29 anni al settimo mese di gravidanza. Giulia Cecchettin, uccisa l’11 novembre 2023 con 75 coltellate inflittegli dal suo ex fidanzato, che non hanno comunque demoralizzato la ragazza a smettere di lottare, tentando di reggersi alla vita anche dopo tutti questi fendenti. La troppa violenza subita ha avuto la meglio, finendo per morire a soli 22 anni. Infine, Mariella Anastasi massacrata a colpi di vanga, cosparsa di benzina, bruciata e abbandonata nei campi dal marito il 4 luglio 2012, a 39 anni, a pochi giorni dal parto.

Tre nomi di donna, tre nomi diventati simbolo della necessità di riforma morale, sociale e comportamentale, come tutte le altre donne che subirono e tutt’oggi subiscono violenza. Ma tutto quello che resta, a discapito dei provvedimenti intrapresi, è una società incosciente ed immatura.
Non possiamo giustificare i ragazzi. Sostenere questa sia solo una battuta di cattivo gusto fatta in goliardia o una semplice bravata significherebbe sminuire ancora una volta il problema. Infatti, dietro a questo evento si evidenzia una totale irresponsabilità ed empatia verso le vittime e le loro famiglie, inoltre, una forte mancanza di rispetto verso cittadini e istituzioni dello Stato italiano che si stanno impegnando per cambiare nel presente le differenze di genere frutto di radici culturali che si sono fatte strada nel passato, con l’obiettivo di promuovere un futuro di uguaglianza e rispetto.
Siamo ancora molto lontani dal raggiungimento di un pensiero comune rispetto le differenze di genere. Siamo perduti in uno scenario demoralizzante, che rischia di farci abbandonare ogni speranza e fiducia nel cambiamento.
Il ministero dell’istruzione Valditara ha preso la parola e sottolineato il fallimento rilevato nei giovani. Questo fenomeno «dimostra una forte immaturità ed insensibilità» sottolinea Valditara. Ma anche una completa incoscienza e mancanza di informazione da parte dei più giovani. Questo evento ci lascia una forte amarezza e inquietudine per le possibili evoluzioni future. Chi abbiamo davvero di fronte? A chi stiamo dando in mano il futuro del nostro Stato? Sembra che ci stiamo dirigendo verso la perdita della nostra umanità, all’interno di una società fatta d’individui privi di emotività e capacità di empatizzare con una realtà agghiacciante: quella dei femminicidi.
D’altro canto la speranza. La speranza che eventi tanto gravi ci possano far aprire gli occhi. Eventi che, come sempre, riguardano tutti. Dai ragazzi, futuri adulti, ai loro genitori, alle istituzioni scolastiche prima e lavorative poi. Valditara afferma anche: «Prevedo per la prima volta che l’educazione al rispetto, in specie verso le donne, sia ora un obiettivo di apprendimento che deve essere imparato e su cui si dovrà essere valutati». È fondamentale l’educazione emotiva e al rispetto, sono necessari provvedimenti immediati.
Ma come siamo venuti a conoscenza di questo fatto, che, di fatto, risale a qualche giorno fa? Grazie a qualcuno che ha scelto di non conformarsi e normalizzare questo evento. Grazie al potere della minoranza che ha scelto di denunciare l’accaduto. Denuncia finita nelle mani dell’organizzazione umanitaria indipendente e imparziale Womens for Freedom, che si è posta l’obiettivo di combattere le discriminazioni, lo sfruttamento e la violenza rivolti verso le minoranze (genere, età, status socio-economico, classe sociale, religione, etnia…). Womens for Freedom ha svelato l’identità dei ragazzi, spingendo l’autore del sondaggio a scusarsi pubblicamente per l’accaduto. Come ha affermato Carfagna: «Non serve scatenare una caccia alle streghe, ma dobbiamo tutti interrogarci sul modo in cui la scuola e ogni altro agente educativo debbano agire sul tema dei femminicidi, della parità, del rispetto per gli altri e, più in generale, della vita umana». È ovviamente implicito che il responsabile dovrà pagare le conseguenze delle proprie azioni, come anche ha sottolineato il presidente del Veneto Zaia. Ma non è così semplice come sembra. In primis altri tre studenti hanno risposto al sondaggio; in secondo luogo, se questi ragazzi hanno agito in tal modo dipende anche dall’insegnamento loro dato. Quindi dalle loro famiglie, dall’istruzione scolastica, i media, la società più in generale, ma ancor di più, la nostra cultura. Da cui dipende una società che normalizza e accetta concetti di per sé discriminanti e violenti.
Dobbiamo lottare e insistere per cambiare le cose. Non possiamo arrenderci di fronte tanta crudeltà, non possiamo lasciare che i giovani vengano travolti dall’incoscienza e dalle congetture culturali. È fondamentale che lo Stato prenda provvedimenti a livello di istruzione ed educazione emotiva e al rispetto di noi e degli altri.
“Non fissarti nel destino individuale.
Esistere è un dovere, durasse un secondo.”
Émile Durkheim, Il suicidio (2014/1897)
Con queste parole di Durkheim voglio sottolineare l’importanza del fatto accaduto, un fatto sociale, non individuale, su cui tutti dovremmo soffermarci a pensare con l’obiettivo di comprendere cosa ogniuno di noi possa fare come singolo, al fine di apportare modifiche e miglioramenti alla società intera. Ogni azione o decisione che l’uomo compie è sempre orientata verso un gruppo sociale, così da promuovere la solidarietà sociale, ossia dal punto di vista della formazione di legami sociali. Legami che dovrebbero unirci nel prendere decisioni unanimi rispetto i possibili provvedimenti da prendere per cambiare e migliorare il futuro che ci spetta.
Fonti Bibliografiche e sitografiche:
Durkheim É., Il Suicidio (2014). Curato da Scramaglia R., Rizzoli editore.
https://tg24.sky.it/cronaca/2025/05/16/femminicidai-sondaggio-scuola
Femminicidi, sondaggio in scuola di Bassano del Grappa “Chi meritava di morire?” – La Stampa
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