Oggi: 8 Agosto 2025
4 Agosto 2025
8 minuti di lettura

COME SI SGANCIA UNA RISATA: UN’ARMA PIÙ FORTE DELLE BOMBE

COME SI SGANCIA UNA RISATA: UN’ARMA PIÙ FORTE DELLE BOMBE

Il modo perfetto per aprire questa riflessione è una citazione:

“Nel giro di tre o quattro generazioni la gente non sarà più nemmeno in grado di scorreggiare da sola e l’essere umano regredirà all’età della pietra, alle barbarie medievali, a uno stadio che la lumaca aveva già superato all’epoca del Pleistocene. Il mondo non verrà distrutto da una bomba atomica, come dicono i giornali, ma da una risata, da un eccesso di banalità che trasformerà la realtà in una barzelletta di pessimo gusto.”

 

Carlos Ruiz Zafón, autore de L’ombra del vento, è stato uno degli scrittori spagnoli più letti e tradotti al mondo. Con i suoi romanzi ha raccontato il potere della memoria, dei libri e della verità, anche quando scomoda. E questa frase, nascosta tra le pagine di uno dei suoi capolavori, oggi suona più attuale che mai.

Il punto è proprio questo. Oggi si ride di qualsiasi cosa.
Esistono video e meme esilaranti su qualsiasi argomento, qualsiasi personaggio, qualsiasi evento. Tutto è potenzialmente comico, tutto è potenzialmente derisibile. E a furia di ridere, non ci accorgiamo più di ciò che ci scivola via sotto gli occhi.

QUALCHE ESEMPIO CONCRETO

Prendiamo il caso San Giuliano–Boccia. In Rete si è scatenata un’ondata di meme, battute e parodie. I social si sono riempiti di fotomontaggi, remix audio, commenti sarcastici. Abbiamo riso moltissimo. Ma mentre ridevamo, passava in sordina il vero punto della questione: la totale mancanza di competenza, la distribuzione di incarichi chiave per ragioni di pura fedeltà politica (per non menzionare di peggio), l’imbarazzante mediocrità delle classi dirigenti. Il merito è un concetto svuotato, un contenitore che si riempie solo di contatti, amicizie, parentele. E noi? Ridiamo.

Lo stesso è accaduto con il pandoro Ferragni. Meme a pioggia, battute su Instagram, TikTok, Twitter. Abbiamo riso di packaging dorati, comunicati goffi, scuse tardive. Ma mentre ridevamo, il nodo centrale, un uso strumentale della beneficenza per gonfiare i profitti, è stato messo da parte. Ancora una volta, il problema si trasforma in sketch. E il potere economico continua indisturbato, legittimato perfino dal nostro sarcasmo.

Ancora peggio, forse, accade con il fascismo. Meme su Mussolini, video ironici sul ritorno delle camicie nere, battute su saluti romani e nostalgie del Ventennio. Si ride di tutto, anche di ciò che ha già causato devastazione, dolore, morte. Sui social spopolano video comici in cui si insinua che Hitler, tutto sommato, “aveva ragione su alcune cose”. È tutto un gioco? Un’ironia? Un’esagerazione? Forse sì. Ma è anche un segnale pericoloso. Perché l’ironia, se non accompagnata da consapevolezza, può essere una porta spalancata all’indifferenza.

E intanto guardiamo Temptation Island perché ci fa ridere. Non ci fa pensare. Non ci obbliga a sentire niente, a riflettere su niente. Così, permettiamo anche a trogloditi con la terza elementare di diventare famosi semplicemente perché ci fanno ridere. Perché ridiamo di loro, mentre loro si arricchiscono della propria ignoranza come fosse un merito. Perché essere ignoranti oggi va di moda.

Oppure ridiamo di Raoul Bova, ridicolizzando fatti suoi personali che, per quanto deprecabili, rimangono comunque legittimamente privati. In questo caso, è stato Fabrizio Corona a diffondere un audio privato che Bova aveva inviato a un’amante. Un contenuto che molto velocemente è diventato virale su TikTok e Instagram, trasformato in meme, barzelletta, tormentone. Il tutto senza provare un briciolo di empatia. Mettiamo la risata davanti a qualsiasi cosa.

Ridiamo dei due amanti beccati dalla kiss cam al concerto dei Coldplay per la stessa, identica ragione. Durante un loro live al Gillette Stadium di Foxborough, in Massachusetts, due colleghi sono stati ‘pizzicati’ abbracciati sul maxischermo. L’insinuazione di una presunta relazione extraconiugale, smascherata davanti a migliaia di persone, è diventata virale sui social. E poco dopo, i due sono stati sospesi dal lavoro.
Non ci interessa sapere se c’è dolore, vergogna, sofferenza. O peggio, non ci sfiora nemmeno il pensiero. Ci interessa ridere. Sempre.

UNA RISATA SANA E UNA RISATA SUPERFICIALE, STESSA ARMA, VITTIME DIVERSE

Ma è giusto ridere in questo modo? Dipende.
La risata è sana, è sacrosanta. Aiuta a esorcizzare le ansie, le paure, i momenti in cui ci sentiamo impotenti. Sì. A patto che non dimentichiamo tutto il resto.

Perché ridere davanti a un’ingiustizia non è così divertente se poi non ci alziamo per protestare quando accade. Il problema non è ridere in sé, ma il fatto che utilizziamo la risata, il meme, la battuta, per muovere delle accuse, talvolta legittime, senza poi approfondire quell’accusa, senza approfondire le ragioni della nostra satira incompleta. In questo modo la risata diventa un’arma contro noi stessi e, anziché colpire dove dovrebbe, danneggia la parte sbagliata del pubblico.

Il caso San Giuliano–Boccia è perfetto in questo senso: mentre noi ridiamo, al potere vengono assunte persone incompetenti che non hanno nessun merito se non quello di conoscere le persone giuste. Di sapere a chi stringere la mano. Di appartenere al gruppo giusto.

Il caso Ferragni calza a pennello: mentre ridiamo, anziché approfondire l’indignazione, i ricchi continuano ad arricchirsi con frodi che spesso, nella maggior parte dei casi, rimangono impunite.

E ridiamo dei meme mentre atteggiamenti fascisti vengono sminuiti, consentiti, autorizzati, ignorati. Mentre accadono sotto ai nostri occhi. Mentre invece, gli antifascisti dichiarati, vengono fermati, schedati, controllati, dissuasi. E tutto questo succede mentre noi ridiamo. E continuiamo a ridere.

Ridiamo degli israeliani che compiono, sotto i nostri occhi, un genocidio, un nuovo olocausto. E stiamo a guardare. Zitti. A volte neanche guardiamo, perché abbiamo gli occhi fissi sull’iPhone, sui reel, sul nostro piccolo orticello. Un orticello che, tra l’altro, diventa sempre più facile da portare via ogni giorno che passa. Ogni giorno che veniamo allenati a non difendere il prossimo.

LA RISATA È LA CURA DI CUI AVEVAMO BISOGNO?

Forse durante la pandemia tutto questo ha avuto una spinta ulteriore. Forse ne avevamo bisogno per non stare male, chiusi nelle nostre case. Però, forse, a questo punto, la domanda corretta da farsi è: ne avevamo davvero bisogno? Davvero abbiamo bisogno di non pensare per stare bene?

C’è una sostanziale differenza tra lo stare bene e il non stare male.
Non pensare serve solo a non stare troppo male sul momento. Ma stare bene non significa non pensare.
Stare bene significa vivere le vite che desideriamo vivere. Vite in cui non vediamo i nostri diritti sgretolarsi davanti a noi, tra uno schiamazzo e l’altro.

Stare bene è poterci permettere di pensare davvero senza stare male, senza paura. Pensare al presente. Pensare al futuro. Pensare con la nostra testa. Senza timore di essere puniti dall’alto per la nostra leggerezza.

I migliori comici e stand-up comedian del mondo sono proprio quelli che, mentre ti fanno ridere, ti dicono anche quello che c’è da dire. Basti pensare all’immensa sensibilità di Bo Burnham e alla sua profonda capacità di empatia, così potente da aver davvero fatto la differenza durante la pandemia grazie al suo special chiamato Inside. Basti pensare a tutta l’attività benefica messa in atto da figure come Ricky Gervais, al coraggio e alla sfrontatezza di Sarah Silverman che non teme di mettersi contro Trump o il suo stesso popolo israeliano pur di esprimere liberamente quello che pensa e quello che crede sia giusto.

NEL NOSTRO PAESE QUESTO È UN PROBLEMA DIFFUSO

E in Italia?
Adesso sì che ci vorrebbe un po’ di sarcasmo guaritore. In Italia sono moltissimi gli artisti che evitano di esprimersi sulle controversie politiche. Specialmente i comici. Fatta qualche eccezione, per fortuna.

Daniele Fabbri, comico e scrittore romano, è stato recentemente querelato da Giorgia Meloni per aver detto in un suo monologo che è una “puzzona”.
E no, non avete letto male. Lo ripeto: la presidente del consiglio, una delle donne più influenti del nostro Paese, ha querelato un comico che stava facendo il suo lavoro, per averla chiamata “puzzona”.
E fortunatamente Fabbri non si è fatto intimidire. Ma possiamo dire che al momento, purtroppo, questo sia un caso quasi isolato.

E sì, fa anche ridere pensare a Meloni che si offende per un termine come “puzzona”. Fa ridere. E va bene se ridiamo.
Ma solo se poi, quando è il momento, ci alziamo per difendere Daniele Fabbri o qualsiasi altra persona zittita da chi ha un potere superiore.
Solo se ci indigniamo per questi abusi di potere, per le frodi fiscali, per i diritti rubati.
Solo se siamo pronti a non ridere dell’audio privato di una persona famosa, perché siamo in grado di provare empatia per i sentimenti di quella persona.
Perché ci ricordiamo che quella persona è un essere umano, con una vita privata, delle emozioni e sì, anche delle debolezze.
Debolezze che non vanno necessariamente giustificate, ma in cui moltissime persone che hanno contribuito alla diffusione virale di questi contenuti, indubbiamente potrebbero cadere a loro volta.
Stento a credere che se una cosa simile capitasse a noi, rideremmo allo stesso modo.
Proprio come per la storia dei due amanti al concerto dei Coldplay.

UNA STORIA LUNGA PIÙ DI 30 ANNI

La ragione per cui in origine è nato il gossip e altre forme di intrattenimento, è da attribuirsi dichiaratamente all’intento di mantenere le masse lontane dalla politica. Non è un segreto e la parola stessa lo dice: veniamo intrattenuti mentre fuori succede di tutto. Per citare una frase che molti sicuramente ricorderanno, siamo “un Paese di musichette, mentre fuori c’è la morte”.

Berlusconi lo aveva capito benissimo: per disinnescare la critica, per passare sopra ogni scandalo, per rendere accettabile l’inaccettabile, bastava far ridere. Bastava raccontare una barzelletta. E lui ne aveva sempre una pronta, spesso sessista, spesso fuori luogo, sempre plateale. Barzellette sulle donne, sui gay, sugli ebrei, sulle minoranze. Si presentava come “quello che parla come noi”, come l’amico di famiglia che scherza con tutti e ti dà una pacca sulla spalla, mentre firma leggi ad personam e stravolge la libertà d’informazione. Ha costruito il suo impero politico sulla risata e sull’intrattenimento. Ha colonizzato l’immaginario collettivo con trent’anni di tv leggera, ammiccante, dove le domande difficili non esistevano, dove il potere si mostrava in ciabatte e accappatoio per sembrare innocuo. E intanto, con il sorriso, toglieva valore alla cultura, alla scuola, alla competenza, alla serietà. Siamo stati allevati per questo. Ci ha abituati a una politica da varietà, a una classe dirigente che deve prima di tutto piacere, far ridere, stare sul palco, anziché rispondere. Siamo diventati un Paese che ride delle gaffe invece di indignarsi per la corruzione della classe politica.

Un Paese in cui è normale che un capo del governo faccia battute infelici nei vertici internazionali e che venga comunque rieletto. Un Paese in cui chi dissente viene tacciato di essere pesante, noioso, “troppo serio”. E se oggi ridiamo di San Giuliano, del pandoro Ferragni, della riascesa del fascismo, è anche perché ci hanno educato a farlo. Con un sorriso in sottofondo e il telecomando in mano.

RIDERE FA BENE, SE SAPPIAMO GUARDARE OLTRE LA NOSTRA RISATA

Sarebbe bello se il mondo finisse lì, dove si ride. Dove non si deve pensare. Dove si può vivere con leggerezza.
Ma la leggerezza va conquistata con la consapevolezza. Se mai torneremo a pensare davvero, ad avere il coraggio di rinunciare alla distrazione momentanea quando è il momento di parlare seriamente, quando torneremo ad avere il coraggio e la capacità di riappropriarci nella nostra serietà senza essere tacciati di pesantezza, riacquisteremo un tipo diverso di leggerezza. Una leggerezza che nasce dalla profondità, una leggerezza solida, che potrà davvero guarire tutti noi dall’indifferenza che da decenni permea tutto quello che ci circonda. Perché se oggi tutti hanno quasi piacere a dirsi ignoranti, dovrebbe tornare di moda non temere di essere considerati “pesanti”, se questo significa tornare a ragionare. E a quel punto non sarà più pesantezza, sarà la matrice di una nuova leggerezza (e non superficialità) che non ha bisogno di spazzare via i pensieri, ma che li abbraccia con orgoglio.
Senza questo, non possiamo permetterci di ridere.
Senza questo, non ci sarà davvero nulla da ridere.

Aiutaci a far nascere il Progetto Editoriale LaLettera22, contribuisci alla raccolta fondi

Catanese d'origine, romana d’adozione. Dopo gli studi in Lingue, Cinema e Comunicazione, ha intrapreso un percorso nel mondo della scrittura che prosegue dal 2017. Ha collaborato come pubblicista con riviste e blog, per poi specializzarsi come creative copywriter a partire dal 2018, lavorando con agenzie, brand e progetti culturali.
Appassionata di arte e intrattenimento, coltiva un particolare interesse per il cinema, i videogiochi e le nuove forme di narrazione. Crede profondamente nel valore dell’informazione libera e accessibile, e nel potere della cultura di generare consapevolezza.
Attraverso il suo lavoro cerca di restituire verità, autenticità e significato, contribuendo a costruire un immaginario più ricco e condiviso.

Previous Story

Il Processo di Verona: l’epurazione di Mussolini tra vendetta e disperazione

Next Story

Max Weber e la Gabbia d’Acciaio: La Razionalizzazione e la Perdita del Carisma nella Modernità

Ultimi articoli dal Blog

Torna inalto