Lo stigma di un aborto non abbandona la donna italiana nemmeno a 47 anni dall’entrata in vigore della legge sulle “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, e l’allarme lanciato delle nuove generazioni risuona sempre più forte.
Nel 1978, la legge 194 diventò il punto di riferimento per la tutela della donna permettendole l’interruzione volontaria di una gravidanza senza che essa fosse considerata criminale, entrando nella tanta agognata modernità della magistratura a seguito dei radicali cambiamenti sociali che investirono l’Italia negli anni ‘70. Tuttavia, nemmeno l’avvento di un aborto sicuro e legalizzato, che consentiva alla donna di accedere alla pratica senza la clandestinità fisica precedente che aveva portato molte donne anche a morire, le ha salvate dalla clandestinità morale in cui si trovano tutt’ora.
La falsa tutela
La legge 194/78 ammette il diritto del personale sanitario all’obiezione di coscienza, cioè a rifiutare di praticare l’aborto per motivi etici o religiosi. E nonostante l’obbligo delle strutture mediche di garantire comunque all’IVG, i numeri parlano chiaro: i dati ufficiali del Ministero della Salute indicano che circa 2 su 3 ginecologi in Italia sono obiettori di coscienza, con una media del 62% di obiettori nel periodo tra il 2019 e il 2021.
Il problema degli obiettori di coscienza è noto per variare da regione a regione: storicamente, le regioni del centro-nord risultano avere una rete più stabile e solidale nei confronti delle donne che vogliono accedere all’IVG rispetto ad alcune regioni del sud. In regioni come la Campania, risulta che solo il 30% delle strutture ginecologiche effettuano IVG, ma il dato più basso arriva dal Molise, in cui, solo nel 2022, si registravano circa il 92.3% dei ginecologi come obiettori.
Questi dati diventano una porta che ci viene sbattuta in faccia, senza ritegno.
Com’è possibile che un nostro diritto possa essere cancellato sotto i nostri stessi occhi, senza che nessuno nell’ambiente politico ne sembri cogliere la reale gravità?
Perché, pur esercitando un nostro diritto riconosciuto dalla legge italiana, dobbiamo subire una discriminazione tale da parte di professionisti, tanto che bisogna rivolgersi altrove pur di accedere ad una pratica totalmente legale quale l’aborto?
Il nostro corpo e il nostro futuro risiede dunque ancora nelle mani di sconosciuti, a cui non pare interessare che la nostra vita possa davvero dipendere da quella messa in atto di una legge per cui si è lottato, e manifestato fin dagli anni ‘60. Ed il rischio più grave di questa “migrazione sanitaria”, dovuta alla carenza di personale sanitario disposto ad attuare IVG in certe regioni, risiede nelle tempistiche.
Eppure, questi numeri non rimangono solo statistiche: sono storie di donne mai realmente ascoltate. Casi di pazienti costrette a migrare in altre regioni a causa di un aborto negato, e che portano con sè il peso e l’ansia che non ci si riesca ad organizzare in tempo prima delle 12 settimane (limite per l’interruzione volontaria di gravidanza previsto dalla legge,), come una giovane ragazza in Veneto che nel 2020 aveva rischiato di superare quel limite dopo esser stata respinta da diversi ospedali (intra ed extraregionali) a causa di mancanza di medici non obiettori.
E questo non risulta un caso isolato, ma appoggiato dalla politica stessa. Con l’approvazione dell’emendamento DL 19/2024 (norma approvata nel contesto del DL PNRR) proposto dal deputato Malagola di Fratelli d’Italia, si ha dato il via libera alle associazioni antiabortiste a piantare solide radici nei consultori: essi risultano quindi “luoghi svuotati della loro finalità politica per diventare poco più che ambulatori.” come affermato nel giornale Non Una Di Meno. Un luogo che doveva essere il porto sicuro per una scelta che, in un modo o in un altro, impatta la vita di tutte, diventa dunque il luogo perfetto per essere sbranate e private del diritto di decisione sul nostro stesso corpo.
La lotta delle nostre mamme, delle nostre nonne, va scemando sotto una densa nube di bigottismo e cecità di una grossa parte del personale medico e dell’ambiente politico italiano. Ma come possiamo noi ribellarci a ciò? Con le restrizioni antiabortiste che dilagano ora anche in altri paesi quali gli Stati Uniti, l’allarme scatta in modo chiaro e lampante: un nostro diritto fondamentale è a rischio, e noi non possiamo permettere a degli individui di strappare qualcosa che ci spetta.
Abbiamo il dovere di alzare la voce. È giunto il momento di vigilare, denunciare, e agire: la nostra libertà di scelta non può essere un privilegio che dipende da dove abbiamo la fortuna di nascere, né può essere ammutolito da convinzioni ideologiche che non ci riguardano. Noi siamo persone, capaci di decidere per il proprio corpo secondo le nostre attitudini. Dobbiamo tutelare i nostri diritti, e gridare ancora: il nostro corpo non sarà mai più il vostro campo di battaglia.
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