Galeazzo Ciano fu una delle figure più controverse e affascinanti del regime fascista. Genero di Benito Mussolini, ministro degli Esteri per quasi sette anni, protagonista delle grandi scelte diplomatiche che condussero l’Italia nella Seconda guerra mondiale, Ciano rappresenta un esempio emblematico della complicità e delle contraddizioni interne al fascismo. La sua traiettoria personale – dall’ascesa fulminea alla tragica condanna a morte – racconta molto non solo del carattere dell’uomo, ma della natura profonda del potere totalitario in Italia.
Le origini di un erede del regime
Galeazzo Ciano nasce a Livorno il 18 marzo 1903 in una famiglia intrisa di nazionalismo e militarismo. Suo padre, Costanzo Ciano, fu un eroe della Grande Guerra e uno dei più convinti sostenitori del nascente fascismo. Ammiraglio, massone, nazionalista della prima ora, Costanzo fu tra i protagonisti della Marcia su Roma e membro fondatore del Partito Nazionale Fascista. In questo contesto, Galeazzo cresce respirando un’idea dell’Italia intrinsecamente legata alla potenza, all’ordine e al destino imperiale. Il suo percorso, segnato da privilegio e ambizione, si orienta naturalmente verso la carriera diplomatica, dove si dimostra brillante, mondano e spregiudicato.
Dopo la laurea in giurisprudenza, entra in carriera diplomatica nel 1925 e, grazie anche ai contatti del padre, ottiene incarichi prestigiosi: prima a Pechino, poi a Rio de Janeiro, due sedi che gli danno fama di giovane colto, elegante, amante della vita e, soprattutto, con un’abilità spiccata nel tessere relazioni.
Il matrimonio con Edda e l’ascesa politica
Nel 1930 sposa Edda Mussolini, la figlia primogenita del Duce. Il matrimonio è l’evento che segna la sua definitiva entrata nell’élite del regime. Mussolini non è solo il suocero, ma diventa anche il mentore politico e, in parte, il competitore simbolico. È evidente che il giovane Ciano mira in alto. Edda, donna dal carattere forte e ribelle, è affascinata da lui ma ne percepisce anche il narcisismo e l’opportunismo.
La relazione con Edda è tempestosa: entrambi si tradiscono, si detestano e si amano, ma la loro unione è un patto di potere. Nel 1933 Galeazzo Ciano viene nominato sottosegretario alla Stampa e Propaganda, e nel 1935 parte volontario per la guerra d’Etiopia come ufficiale dell’aeronautica. Rientrato con la medaglia d’oro, conquista popolarità come eroe di guerra e rafforza la sua immagine di “giovane fascista moderno”.
Ministro degli Esteri del regime
Nel 1936, a soli 33 anni, Ciano diventa ministro degli Esteri del Regno d’Italia. La nomina, fortemente voluta da Mussolini, è una scelta politica e dinastica: il Duce affida al genero un dicastero centrale, nella convinzione di poterne controllare l’operato. Ma Ciano ha idee proprie e una visione diversa del ruolo dell’Italia nello scacchiere europeo.
In questi anni, Ciano si muove con abilità negli ambienti diplomatici internazionali. Elegante, poliglotta, capace di trattare con le grandi potenze, si distingue per una linea inizialmente più moderata rispetto a quella del suocero. Nonostante il legame con il nazismo, Ciano guarda con sospetto l’egemonia tedesca e teme che l’Italia venga schiacciata sotto il peso del patto con Berlino.
Il suo diario, uno dei documenti più importanti sulla diplomazia fascista, rivela come già nel 1938 Ciano fosse profondamente inquieto dalla potenza militare della Germania e dalla brutalità del regime hitleriano. Ma nonostante i suoi dubbi, firma nel maggio del 1939 il Patto d’Acciaio con Ribbentrop, suggellando l’alleanza militare con la Germania. È una delle decisioni che più lo tormenteranno, come ammetterà nel diario: “Abbiamo legato il nostro destino a quello di un pazzo”.
L’Italia in guerra e la perdita di potere
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, Ciano cerca di frenare l’ingresso italiano nel conflitto. Teme che l’Italia non sia pronta e che l’alleanza con la Germania la trascinerà verso il disastro. Ma Mussolini è deciso. Il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra, e Ciano, pur rimanendo ministro, vede lentamente svanire la propria influenza.
Il rapporto con Mussolini si incrina sempre più. Il Duce lo considera ormai troppo cauto, troppo “borghese”, incapace di comprendere la grandezza del momento storico. Ciano, dal canto suo, inizia a prendere le distanze dal regime, anche perché comprende che la guerra sta rapidamente trasformando il fascismo in un esperimento autoritario ancor più feroce e irrazionale.
Nel febbraio 1943 viene sostituito al Ministero degli Esteri da Mussolini stesso, che centralizza il potere diplomatico in un momento ormai drammatico per l’Italia. Ciano viene nominato ambasciatore presso la Santa Sede, un incarico prestigioso ma di fatto marginale.
Il 25 luglio e il voto che gli costò la vita
Il momento decisivo arriva il 25 luglio 1943. Dopo lo sbarco alleato in Sicilia e il tracollo militare, il Gran Consiglio del Fascismo si riunisce per valutare la posizione di Mussolini. Dino Grandi propone un ordine del giorno che di fatto toglie i poteri al Duce e restituisce la sovranità al re. Ciano vota a favore. È un atto di rottura netta, ma anche un gesto disperato: Ciano non crede più nella possibilità di salvare il fascismo, e tenta forse di salvare se stesso.
Dopo l’arresto di Mussolini e l’armistizio dell’8 settembre, Ciano cerca di fuggire in Spagna, ma viene arrestato dai tedeschi a Verona e consegnato alla neonata Repubblica Sociale Italiana. Hitler è furioso per il suo tradimento e ordina di processarlo. Il regime fascista repubblicano, ormai controllato dalla Gestapo, organizza un processo farsa per punire i “traditori del 25 luglio”.
Il processo di Verona e la condanna
Il processo si svolge tra il 5 e l’11 gennaio 1944. Accusato di alto tradimento, Ciano viene giudicato insieme ad altri gerarchi fascisti. Il dibattimento è una farsa: Mussolini, costretto dai tedeschi, non interviene per salvare il genero. Il verdetto è scontato: pena di morte.
Il 11 gennaio 1944, nel poligono di tiro di Verona, Ciano viene fucilato. Ha 40 anni. Viene ucciso insieme ad altri quattro gerarchi del regime. Fino all’ultimo chiede di essere risparmiato per poter vivere e raccontare la verità sul fascismo. Le sue ultime lettere a Edda e alla madre sono tra i documenti più intensi del periodo.
Un testimone scomodo del fascismo
Galeazzo Ciano non fu un eroe. Fu un uomo del regime, complice delle sue scelte più tragiche, e per anni ne fu protagonista attivo. Ma fu anche uno dei pochi, all’interno dell’apparato fascista, a comprendere in tempo l’errore strategico e morale della guerra e dell’alleanza con Hitler.
Il suo Diario, redatto meticolosamente tra il 1937 e il 1943, rimane un documento storico di eccezionale valore. Non solo per le informazioni che contiene, ma per la testimonianza diretta del funzionamento del potere fascista, della psicologia dei suoi capi, della solitudine di Mussolini, e del vuoto etico che caratterizzò gli ultimi anni del regime.
In Ciano convivono ambizione, cinismo, lucidità e un tardivo senso di disincanto. La sua parabola – ascesa folgorante, tradimento, morte per mano dei suoi stessi compagni – sintetizza meglio di ogni altra la tragedia del fascismo italiano.
Aiutaci a far nascere il Progetto Editoriale LaLettera22, contribuisci alla raccolta fondi