I negoziati per garantire la sicurezza dell’Ucraina e avviare un possibile accordo con la Russia sono entrati in una fase cruciale. Lunedì 18 agosto, alla Casa Bianca, si è svolto un incontro ad alta tensione diplomatica tra il presidente statunitense Donald Trump, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e diversi leader europei. Al centro del confronto: come impedire che, una volta terminata la guerra, Mosca possa tornare ad aggredire Kyiv.
Il nodo centrale: protezione senza NATO
Secondo indiscrezioni emerse dal summit, Vladimir Putin – durante il vertice in Alaska con Trump – avrebbe accettato in linea di principio l’idea di fornire garanzie a Kyiv. Ma resta irrisolto il problema più spinoso: quali strumenti concreti possono garantire all’Ucraina la sicurezza?
Trump ha ribadito con chiarezza la sua opposizione a un’eventuale adesione dell’Ucraina alla NATO, una delle condizioni principali poste dal Cremlino. Questo vincolo rende necessario individuare soluzioni alternative, capaci di rassicurare Kyiv senza provocare un’escalation con Mosca.
Il segretario generale della NATO, Mark Rutte, in un’intervista a Fox News, ha confermato che l’Alleanza sta valutando diversi scenari di supporto. Tuttavia, ha precisato che nella riunione di Washington non si è discusso del dispiegamento diretto di truppe americane sul terreno.
Le opzioni discusse
1. Il “modello israeliano” e la strategia del porcospino
La prima ipotesi è stata definita dagli osservatori come “modello israeliano”. Si tratta di un sistema di autodifesa rafforzata, che trasformerebbe l’Ucraina in una nazione capace di difendersi autonomamente da eventuali aggressioni future.
Il concetto, già avanzato dal consigliere per la sicurezza nazionale Jack Sullivan e ripreso dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen come “strategia del porcospino d’acciaio”, prevede:
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forniture stabili e massicce di armi americane e occidentali,
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addestramento avanzato delle forze armate ucraine,
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condivisione costante di intelligence militare,
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esercitazioni congiunte regolari con Stati Uniti ed Europa,
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accesso a tecnologie belliche di ultima generazione.
Secondo il Financial Times, Kyiv avrebbe proposto un piano da 100 miliardi di dollari per l’acquisto di armamenti statunitensi, con copertura finanziaria europea. Parallelamente, è allo studio una cooperazione industriale nel settore dei droni militari tra imprese ucraine e americane, con l’obiettivo di creare un legame economico e strategico duraturo.
2. L’approccio europeo: integrazione industriale e adesione futura
L’Unione europea, da parte sua, sta spingendo per una soluzione che vada oltre la semplice fornitura di armi. La proposta prevede l’integrazione dell’industria della difesa ucraina all’interno del tessuto produttivo europeo, un passo che favorirebbe anche l’ingresso futuro di Kyiv nell’Ue.
Dal punto di vista giuridico, l’articolo 42.7 del Trattato di Lisbona obbliga gli Stati membri a fornire assistenza a un partner aggredito, offrendo un meccanismo simile – seppure meno vincolante – all’articolo 5 della NATO.
Il problema è che l’adesione di Kyiv all’Unione non può essere immediata: i processi di allargamento richiedono anni di negoziati e riforme. Ecco perché i leader europei insistono sulla necessità di misure provvisorie, capaci di proteggere l’Ucraina già nell’immediato, senza attendere il completamento del percorso politico.
3. Tre possibili modelli di presenza militare
Un altro capitolo discusso alla Casa Bianca riguarda la possibilità di una presenza militare internazionale sul territorio ucraino. Gli esperti hanno delineato tre scenari distinti:
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Forza di peacekeeping – truppe armate, con il compito di affiancare direttamente l’esercito ucraino in funzione difensiva. Questo modello, però, richiederebbe decine di migliaia di soldati, un impegno che pochi governi europei sarebbero disposti a sostenere, sia per i costi che per i rischi politici.
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Forza tripwire – un contingente ridotto ma schierato in aree strategiche, la cui sola presenza fungerebbe da deterrente. L’attacco a queste truppe equivarrebbe infatti a un attacco diretto ai Paesi europei coinvolti, aumentando il costo politico e militare per Mosca.
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Missione di osservazione – poche centinaia di militari incaricati esclusivamente di monitorare il rispetto di eventuali accordi di pace e segnalare violazioni. Non avrebbero compiti difensivi, ma garantirebbero trasparenza internazionale.
Il ruolo della Turchia, dei Brics e la proposta ceca
In passato, Ankara aveva suggerito una missione di osservatori provenienti da Paesi neutrali, non membri NATO. L’idea era stata respinta da Mosca, ma dopo il vertice in Alaska Putin sembrerebbe aperto a una missione mista, che includa Stati dei Brics, con la Cina in veste di garante.
Sul tavolo è arrivata anche la proposta della Repubblica Ceca di difendere lo spazio aereo dell’Ucraina occidentale attraverso sistemi antimissile NATO. Una soluzione che permetterebbe di proteggere la popolazione civile senza dover dispiegare truppe di terra, riducendo il rischio di scontri diretti con Mosca.
Un equilibrio fragile tra diplomazia e sicurezza
Il vertice di Washington ha mostrato quanto sia complesso trovare un compromesso accettabile per tutte le parti. Kyiv chiede garanzie immediate e tangibili; Mosca pretende il blocco dell’allargamento NATO; l’Europa cerca di coniugare sicurezza e sostenibilità economica; gli Stati Uniti devono calibrare il loro coinvolgimento senza apparire troppo remissivi né eccessivamente aggressivi.
La partita è ancora aperta. Il destino dell’Ucraina – e, in larga parte, della sicurezza europea – dipenderà dalla capacità dei negoziatori di trasformare queste ipotesi in accordi concreti, evitando che restino semplici dichiarazioni diplomatiche.
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