Ustioni estese, ferite gravi da esplosioni, trauma cranici.
Le garze e i disinfettanti iniziano a scarseggiare. Spesso le operazioni si svolgono al buio, la corrente salta molto. I bambini escono dalla sala operatoria in totale agonia: non ci sono anestetici locali, e i totali non bastano più. Il racconto dei medici di frontiera
Questo è l’orribile scenario raccontato dalla chirurga Tiziana Riggio, collaboratrice della ONG Ideals, e al servizio medico nella striscia di Gaza. Sono scene nuove agli occhi dei medici occidentali, come afferma la stessa Riggio, abituati a lavorare in strutture e condizioni totalmente differenti. “Purtroppo la guerra non discrimina nessuno”, afferma il medico nel video intervista per l’Ansa. A quanto pare nemmeno i bambini.
@lettera22_ Immagina di dover operare un bambino… al buio. Senza anestesia. Senza guanti della tua taglia. Senza nemmeno sapere se l’elettricità tornerà prima che il suo cuore smetta di battere. È quello che succede ogni giorno a Gaza. #gaza
I bambini di Gaza
Giovani vite spezzate Secondo le statistiche di Save the Children del gennaio 2024, più di 10 bambini al giorno, in media, hanno perso una o entrambe le gambe a Gaza dall’inizio del conflitto. La striscia di Gaza si ritrova in una quasi completa paralisi del sistema sanitario e, con le strutture ospedaliere sempre più colpite dai bombardamenti israeliani, sempre più in pericolo. Solo nell’ultima settimana del maggio 2025, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’esercito israeliano ha bombardato per 28 volte gli ospedali della striscia di Gaza. Soltanto 15 dei 36 ospedali (42%) e 13 su 72 (18%) centri sanitari periferici della Striscia sono parzialmente funzionanti. Questo attacco alla sanità non riguarda esclusivamente i civili colpiti direttamente, ma un’intera popolazione.
Con il crollo dei reparti ospedalieri, le persone affette da altre patologie antecedenti al conflitto – quali malattie cardiovascolari e metaboliche croniche (circa 350.000 persone colpite), cancri e tumori (circa 9.000 pazienti), e una media di 5.000 parti al mese – risultano non più gestite correttamente e secondo gli standard di una sanità che possa essere reputata umana e appropriata. Le storie arrivate a noi Le storie dei bambini provenienti dalla Striscia sono storie che possono essere definite come disumane. Come la testimonianza del giovane Yousef, di soli 14 anni, ad un operatore di UNICEF: dopo esser stato perquisito, lasciato nudo e interrogato per ore dall’esercito israeliano, è stato rilasciato solo per essere sparato addosso lasciandovi con gravi lesione interne ed esterne, e vostro padre morto accanto a voi.
Non vi è rimasto alcun equilibrio tra il conflitto bellico in sé e le morti civili, specialmente dei bambini. Un’eventuale evacuazione sanitaria risulta ancora difficilmente attuabile. Ma com’è possibile che la comunità internazionale non intervenga ancora, nonostante le brutalità perpetrate dall’esercito israeliano sui bambini palestinesi e la terribile crisi sanitaria che Gaza è costretta a sostenere nel limite della loro situazione attuale? «Gli ultimi giorni ad Al Shifa avevamo esaurito tutto. Amputavamo un braccio e poi davamo il paracetamolo: i pazienti morivano di dolore. Molte ferite si infettavano. Cercavamo di fare quello che potevamo per tenerle pulite. Ma non avevamo morfina né anestetici, come la ketamina. Eseguivamo procedure chirurgiche davvero dolorose senza anestesia, anche sui bambini. Un giorno ho dovuto pulire la ferita di una bambina di 9 anni».
Questo è il racconto del medico Ghassan Abu-Sitta, medico britannico-palestinese, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Uno scenario agghiacciante, che nessuno si sarebbe mai immaginato realmente possibile, non in una società civilizzata come dovrebbe essere quella odierna. Non si tratta più di una guerra contro Hamas, ma di un accanimento contro civili innocenti come i bambini, e la privazione dei diritti umani basilari come l’accesso ad una sanità attrezzata e competente. Ci troviamo davanti a minuscoli, ancora non del tutto sviluppati, corpi distrutti e vite spezzate a testimonianza di una brutalità che è stata imposta loro e a cui noi, per troppo tempo, abbiamo voltato le spalle.
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