Il 6 Agosto 1945, un bombardiere statunitense B-69 chiamato Enola Gay in onore della madre del comandante Paul Tibbets, sgancia su Hiroshima Little Boy , una bomba atomica all’uranio. È la prima bomba atomica della storia. Il 9 Agosto 1945, un secondo aereo statunitense, il Bockscar, sgancia Fat Man, un’altra bomba atomica su Nagasaki. È la seconda e ultima bomba atomica mai usata in guerra. Da allora, il mondo non sarà più lo stesso.
Come si arrivò alla bomba
La bomba atomica era stata costruita dagli Stati Uniti d’America in tempi brevissimi.
La paura più grande era che i tedeschi ci arrivassero prima, e lo scopo iniziale era quello di lanciarla sulla Germania. I progressi della meccanica quantistica, e il coinvolgimento all’interno del progetto Manhattan delle menti più geniali del secolo (Enrico Fermi, Niels Bohr, J.Robert Oppenheimer), aveva permesso di ottenere la bomba nel Luglio del 1945, dopo soli tre anni dall’inizio del programma. Solo che , una volta pronta , Hitler era morto, e la Germania si era arresa. Che fare, dunque ?
Il Giappone, che aveva finito i combustibili fossili, si sarebbe dovuto arrendere, ma non lo faceva.
Questo bastò ad avere l’ approvazione di Oppenheimer, capo del progetto Manhattan, e del presidente degli Stati Uniti, Truman, per il lancio dell’atomica.
Hiroshima, un bersaglio ”ideale”
La prima bomba sganciata su Hiroshima, era a uranio-235, con una potenza di 15 kilotoni di TNT. La scelta di Hiroshima fu una scelta strategica. Oltre a essere un obiettivo militare, era anche una città poco danneggiata dalla guerra. La città sarebbe stata quindi un ”modello” per la potenza distruttiva dell’arma. Entro la fine del 1945, ci furono circa 140.000 morti.
La seconda bomba atomica venne sganciata su Nagasaki, ma questa volta non era previsto.
L’ obiettivo iniziale era Kokura, ma le condizioni meteorologiche avverse costrinsero i piloti a fare una deviazione.La bomba atomica di Nagasaki era al plutonio, con una potenza di 21 kilotoni di TNT . La conformazione collinare della città limitò la distruzione e le vittime furono inferiori rispetto a Hiroshima: a fine del 1945, i morti furono circa 70000.
Le bombe furono state fatte esplodere in aria, a un altezza di 500-600 metri dal suolo, per amplificare l’onda d’urto. Quando scoppia una bomba atomica, le temperature di milioni di gradi nella palla di fuoco polverizzano istantaneamente chi si trova vicino al punto zero. L’aria, che raggiunge temperature elevatissime, si espande violentemente e genera un’onda d’urto, che devasta edifici e infrastrutture e uccide per schiacciamento. La radiazione termica sprigionata dall’esplosione provoca incendi immediati: legno, carta e tessuti bruciano nel raggio di chilometri.
I morti causati da una bomba atomica non si possono contare con esattezza. Esistono dei dati approssimativi, numeri che crescono con il passare dei mesi e degli anni. Tra i morti di una bomba atomica ci sono i morti immediati, e i morti successivi. Ci sono le morti per ustioni, ferite, sindrome acuta da radiazioni. Ci sono i suicidi perchè si è scoperto di avere un tumore.Gli Hibakusha: esistere dopo la bomba
Dopo lo sgancio della bomba, in Giappone è stata introdotta una nuova parola, *hibakusha*, letteralmente ”coloro che sono stati colpiti dal bombardamento” ; è composta da tre ideogrammi (hi) ricevere, subire, (baku) eplosione , (sha) , che significa persona.
La definizione non comprende solo chi si trovava nella zona colpita al momento dello scoppio, ma anche chi intervenne nei giorni successivi per soccorrere i feriti, venendo così esposto a radiazioni ionizzanti residue. A breve termine gli hibakusha soffrivano di ustioni gravi, infezioni, emorragie e sintomi della sindrome acuta da radiazioni. A lungo termine, studi epidemiologici hanno dimostrato un incidenza elevata di leucemie, tumori, cataratta e altre patologie degenerative.
A causa della poca conoscenza e della scarsità di informazioni che venivano trasmesse riguardo i danni causate dalle radiazioni, gli hibakusha subirono anche enormi danni psicologici. La stigmatizzazione sociale era persistente. Molti giapponesi temevano che fossero contagiosi o che avrebbero avuto figli con malformazioni congenite. La difficoltà nel trovare lavoro, nello sposarsi e l’ isolamento erano comuni.
La censura americana
Prima della resa, all’interno del Giappone, era vietato utilizzare la parola* bomba atomica*. Dopo la resa del Giappone, anche l’occupazione militare statunitense (1945-1952) impose un regime di censura.Tutte le pubblicazioni, le fotografie, i filmati riguardanti i bombardamenti atomici dovevano essere sottoposti ad approvazione preventiva. Vennero vietate le immagini che potessero suscitare sentimenti antiamericani: foto di corpi carbonizzati, descrizione dettagliate degli effetti sulle vittime, studi medici sulle conseguenze delle radiazioni.
Solo nel 1952, con la fine dell’occupazione, giornalisti e ricercatori poterono pubblicare liberamente materiale sul tema, permettendo alla comunità internazionale di comprendere meglio la portata della distruzione, e al Giappone di elaborare il trauma subito.
La commissione che studiò gli hibakusha
Nel 1947 gli Stati Uniti crerono la Atomic Bomb Casuality Commission (ABCC) a Hiroshima e Nagasaki. Questa commissione doveva servire per compiere studi epidemiologici sugli effetti a lungo termine delle radiazioni sugli hibakusha.
Ma l’obiettivo era scientifico, non terapeutico. E i sopravvissuti si sentirono trattati come dei dati in mano agli stessi autori della strage. Queste ricerche, che fornirono risultati fondamentali per comprendere la correlazione tra esposizione alle radiazioni ionizzanti e il rischio di contrarre leucemie, furono condotte in un contesto in cui il benessere degli hibakusha non era la priorità.
Nel 1975, l’ABCC venne sostituita dalla *Radiation Effects Research Foundation *(RERF), che proseguì gli studi con un maggior coinvolgimento giapponese nella gestione.
Una ferita che non guarisce
Oggi, a distanza di ottant’anni, Hiroshima e Nagasaki sono città ricostruite. Ogni anno, il 6 e il 9 agosto, le campane suonano e gli hibakusha raccontano la loro storia alle nuove generazioni.
Quando si parla della bomba atomica, se ne racconta l’immensa forza distruttiva. Da vicino, è raro che si guardi. Spesso nei discorsi ufficiali le storie degli hibakusha non entrano.
Eppure, se si vuole, si può ascoltare il sielenzio e la voce di chi c’era. Come quella di Kenzaburō Ōe, premio Nobel per la letteratura, nel ruo reportage *Note su Hiroshima*. Come quella del poeta Tōge Sankichi, sopravvissuto alla bomba e morto per una malattia legata alle radiazioni.
Restituiscimi mio padre,
restituiscimi mia madre,
restituiscimi i miei nonni e le mie nonne,
restituiscimi i miei figli,
restituiscimi me,
restituiscimi tutti gli esseri umani legati a me.
Finchè esisterà il genere umano, restituiscimi una pace che non crolla.
Tōge Sankichi
font:
https://www.lescienze.it/news/2025/08/06/news/hiroshima_bomba_atomica_80_anni_testimoni-19786800
https://ilmanifesto.it/
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