È la mattina del 13 agosto 2007. A Garlasco, un tranquillo comune in provincia di Pavia, la quiete estiva viene squarciata da una notizia che ben presto avrebbe fatto il giro d’Italia: Chiara Poggi, una giovane donna di 26 anni, viene trovata morta nella villetta di famiglia in via Pascoli, con il volto insanguinato, distesa sulle scale che conducono alla taverna. Il primo ad accorrere è Alberto Stasi, il fidanzato, che chiama i soccorsi con voce apparentemente calma, dichiarando di aver trovato la porta d’ingresso socchiusa e il corpo della ragazza riverso in una pozza di sangue.
Quello che all’inizio sembra un brutale omicidio domestico si trasforma rapidamente in uno dei casi giudiziari più controversi e discussi nella storia recente italiana. Un caso che, a distanza di quasi 18 anni, ancora divide l’opinione pubblica, la stampa e la stessa giustizia italiana.
Ma Chi era Chiara Poggi?
Chiara era una ragazza come tante. Laureata in economia, proveniva da una famiglia benestante e stimata nella comunità. Una vita regolare, una relazione stabile con il fidanzato Alberto, studente in economia aziendale alla Bocconi di Milano. Nulla, almeno in apparenza, lasciava presagire un dramma.
Amava leggere, trascorrere le serate con gli amici e progettava un futuro professionale nel mondo della finanza. Quel giorno, i genitori erano in vacanza in Trentino. Lei, rimasta a casa, approfittava del periodo per lavorare a un progetto personale.
La scoperta del corpo e le prime incongruenze
L’allarme viene dato da Alberto Stasi alle 13:50. Dice di essere passato da Chiara per portarle un CD, ma di aver trovato la porta socchiusa e, entrando, la tragica scena. Quando arrivano i soccorsi, non c’è più nulla da fare. Le condizioni in cui viene trovato il corpo lasciano spazio a un’unica certezza: la ragazza è stata aggredita con ferocia.
Da subito, però, sorgono domande inquietanti. La casa è ordinata, non ci sono segni evidenti di effrazione. Ma il dettaglio che insospettisce gli inquirenti è un altro: le scarpe di Stasi sono immacolate, nonostante abbia dichiarato di essere passato per la zona in cui si trovava il corpo. Non ci sono tracce di sangue sulle suole. È uno dei primi elementi che spinge la Procura a iscrivere il ragazzo nel registro degli indagati per omicidio volontario, a soli sette giorni dal delitto.
Le indagini: tra perizie, DNA e scarpe
Inizia così un’indagine che durerà anni. Un caso giudiziario dove l’assenza di un movente forte si intreccia con un mosaico di indizi, alcuni solidi, altri labili. Si cerca l’arma del delitto, che non verrà mai ritrovata. Si analizzano le impronte, le fibre, il DNA. Si perquisisce la casa di Alberto, si confrontano alibi, si studiano i percorsi in bicicletta che potrebbe aver fatto quella mattina.
Uno degli elementi più discussi è proprio l’assenza di sangue sulle scarpe di Stasi. Le perizie stabiliscono che, per come era stato descritto il luogo del ritrovamento, sarebbe stato impossibile non calpestare tracce ematiche. La difesa però risponde che il ragazzo si era fermato sul ciglio delle scale, senza mai scendere. La scientifica replica che i rilievi ambientali non confermano questa ipotesi.
Altro punto cruciale: la bicicletta. Secondo l’accusa, Stasi avrebbe usato una bici da uomo per recarsi da Chiara quella mattina, non la solita bici da donna che utilizzava normalmente. I testimoni parlano infatti di un uomo in sella a una bici nera, compatibile con quella trovata in casa sua e sequestrata dai carabinieri.
La dinamica dell’omicidio
Chiara è stata uccisa con un oggetto contundente, forse un attizzatoio, un pesante fermaporta, o un altro strumento metallico mai identificato. La vittima è stata colpita più volte alla testa, con una violenza che secondo i consulenti indica una forte carica emotiva. L’ipotesi della rapina finita male viene ben presto scartata: nulla è stato sottratto dalla casa. Anche la pista dell’aggressione da parte di uno sconosciuto non convince gli investigatori.
L’attenzione resta puntata su Stasi. Ma è davvero lui il colpevole?
Processi a confronto: assoluzioni, condanne e capovolgimenti
Il primo processo a carico di Alberto Stasi si apre nel 2009. Il tribunale di Vigevano lo assolve per insufficienza di prove. La sentenza viene confermata in appello nel 2011. Ma la Procura generale di Milano ricorre in Cassazione, che annulla la sentenza e ordina un nuovo processo.
Nel dicembre 2014, al termine del processo d’appello bis, la svolta: Alberto viene condannato a 16 anni di reclusione per omicidio volontario, con attenuanti generiche. La Cassazione conferma la sentenza nel dicembre 2015. Stasi entra in carcere.
Una condanna basata su un insieme di indizi, ma senza una prova definitiva. Senza arma del delitto. Senza un movente chiaro. Un caso di “prova logica”, come lo definisce parte della dottrina giuridica.
La difesa di Stasi e la pista alternativa
Negli anni successivi, la difesa del condannato non si arrende. Nel 2016, emerge un nuovo elemento: sotto le unghie di Chiara è presente un DNA che non appartiene a Stasi. Appartiene a Andrea Sempio, amico del fratello della vittima. I legali di Alberto puntano tutto su questa scoperta. La Procura, però, archivia rapidamente la pista alternativa: per gli inquirenti, non ci sono elementi sufficienti a giustificare una riapertura del caso.
Il clamore mediatico è enorme. Una parte dell’opinione pubblica inizia a chiedersi se Stasi sia davvero colpevole. Le associazioni garantiste parlano di processo indiziario, di giustizia incerta. Ma per i genitori di Chiara, la verità è già stata scritta in tre gradi di giudizio.
La riapertura del caso, le nuove indagini su Andrea Sempio, e i dubbi sulla verità giudiziaria
Nel 2016, a dieci anni dal delitto, i legali di Alberto Stasi ottengono l’autorizzazione per nuove indagini genetiche sui reperti conservati. Una delle scoperte più clamorose emerge quasi per caso: sotto le unghie della mano sinistra di Chiara viene rilevato un profilo genetico maschile, diverso da quello di Stasi. Il DNA, secondo l’analisi comparativa, appartiene ad Andrea Sempio, un amico di Marco Poggi, fratello di Chiara.
Sempio era un volto noto nella casa dei Poggi. Frequentava abitualmente l’abitazione, condivideva passioni musicali con Marco e conosceva bene la disposizione dei locali. Al tempo delle indagini, però, non fu mai indagato in modo approfondito: né fu prelevato il suo DNA, né fu sottoposto a interrogatori approfonditi.
L’ipotesi della difesa è chiara: Sempio potrebbe essere stato presente sulla scena del crimine e aver avuto un confronto fisico con la vittima. Il DNA sotto le unghie rappresenterebbe una possibile traccia di difesa da parte di Chiara.
La Procura archivia, ma restano i dubbi
La Procura di Milano, però, chiude rapidamente la nuova pista. Secondo gli inquirenti, la presenza del DNA può essere spiegata dal contatto frequente con Chiara, dato che Sempio era ospite abituale della famiglia. Inoltre, viene sottolineato come l’orario in cui Chiara sarebbe stata uccisa, intorno alle 9:00 del mattino, non coinciderebbe con l’alibi fornito da Sempio, che dichiara di essere a casa.
Tuttavia, alcuni giornalisti e analisti forensi sottolineano incongruenze nell’alibi: le celle telefoniche lo posizionano in una zona compatibile con Garlasco proprio quella mattina, e il suo comportamento successivo – inclusa l’assenza di collaborazione con i legali di Stasi – solleva nuovi interrogativi.
Per la difesa, l’archiviazione è una “grave perdita di occasione”. La verità, sostengono, è stata sepolta sotto anni di processi fondati su indizi labili e interpretazioni.
La Corte Europea respinge il ricorso
Nel 2023, la difesa di Stasi presenta un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La motivazione: la condanna sarebbe avvenuta in assenza di prove dirette e senza il rispetto pieno dei principi del giusto processo. La Corte, tuttavia, dichiara il ricorso irricevibile, ritenendo che non vi siano state violazioni gravi nei procedimenti nazionali.
È una chiusura giudiziaria quasi definitiva. Ma non per l’opinione pubblica. E nemmeno per gli investigatori, che, nel frattempo, iniziano a riconsiderare alcuni dettagli mai chiariti.
2025: il ritorno di Andrea Sempio sotto i riflettori
Nel marzo 2025, la notizia scuote nuovamente l’Italia: Andrea Sempio riceve un avviso di garanzia per omicidio in concorso. Dopo anni di silenzio, la Procura di Pavia riapre ufficialmente un fascicolo nei suoi confronti.
I nuovi elementi emersi, rimasti finora sotto traccia, includono:
- Le nuove perizie genetiche che avvalorano la presenza del DNA sotto le unghie in condizioni compatibili con una colluttazione.
- Le tracce di sabbia compatibili con la cantina dei Poggi trovate su un paio di scarpe appartenenti a Sempio.
- Le incongruenze nell’alibi, e un presunto tentativo di manomissione della cronologia del telefono.
Il 14 maggio 2025, i carabinieri eseguono una serie di perquisizioni a casa di Sempio e dei familiari. Viene cercata, tra le altre cose, l’arma del delitto, mai trovata. In un canale poco distante dalla villetta, i sub rinvengono un martello arrugginito e altri attrezzi compatibili con le lesioni riscontrate sul corpo della vittima.
Il ruolo della stampa e dell’opinione pubblica
Il caso di Chiara Poggi è stato uno dei più esposti mediaticamente degli ultimi vent’anni. Sin dal primo giorno, l’attenzione dei media ha costruito un’immagine pubblica del “colpevole ideale”: Alberto Stasi, freddo, brillante, benestante, con un’apparente incapacità di emozionarsi di fronte alla tragedia.
Ma nel corso degli anni, questa narrazione è stata messa in discussione. Numerosi documentari, libri e podcast – tra cui il noto “Indagini” di Stefano Nazzi – hanno esplorato le falle dell’inchiesta, le contraddizioni nei rilievi, e l’ossessione giudiziaria nei confronti di Stasi.
Un’intera generazione di italiani ha seguito il caso, dividendosi tra innocentisti e colpevolisti, in un dibattito che ha toccato temi più ampi: il funzionamento della giustizia, i media processuali, il valore degli indizi.
Chiara Poggi, oltre il simbolo
Tra le vittime delle lungaggini e delle ambiguità di questo caso c’è, prima di tutto, Chiara Poggi. La sua figura è spesso rimasta schiacciata sotto il peso mediatico del processo. Poco si è parlato, in realtà, di lei, della sua vita, dei suoi sogni, delle sue passioni.
La famiglia Poggi, fin dall’inizio, ha mostrato dignità e compostezza. Ha sempre sostenuto la colpevolezza di Alberto Stasi, convinta della ricostruzione fatta dagli inquirenti. Eppure, negli ultimi anni, anche la loro posizione è diventata più silenziosa, forse logorata da quasi due decenni di dolore e processi.
Ecco la Parte IV e conclusiva dell’approfondimento sul caso Chiara Poggi. In questa sezione ricostruiamo la cronologia degli eventi, analizziamo gli scenari futuri e traiamo un bilancio finale di una delle vicende giudiziarie più emblematiche della cronaca italiana.
Scenari futuri, cronologia completa e riflessione conclusiva
Nonostante la condanna definitiva di Alberto Stasi e l’archiviazione, per ben due volte, della pista che porta ad Andrea Sempio, il caso Garlasco non è affatto concluso. Negli ultimi mesi del 2024 e nei primi del 2025, nuovi movimenti della magistratura hanno ridato slancio a un’inchiesta che pareva chiusa.
Il nuovo avviso di garanzia per omicidio in concorso consegnato a Sempio ha riportato alla luce l’ipotesi di una responsabilità condivisa, o alternativa, rispetto a quella di Stasi. Alcuni analisti ipotizzano un possibile scenario in cui il delitto sia stato commesso da due persone, magari per motivi non ancora emersi. Altri sostengono che l’intero impianto accusatorio sia stato fondato su premesse fragili, e che la verità sia ancora lontana.
Tuttavia, senza nuovi elementi materiali o testimonianze decisive, è difficile che la giustizia italiana riapra definitivamente il caso. La giurisprudenza sulla revisione è rigida, e serve una “prova nuova, decisiva e incompatibile con il giudicato”.
Il caso potrebbe anche scivolare lentamente verso l’oblio, come spesso accade nei delitti irrisolti. Ma l’interesse dell’opinione pubblica, dei media e di una parte della magistratura suggerisce che non tutto è ancora stato detto.
Timeline completa: 2007 – 2025
2007
- 13 agosto: Chiara Poggi, 26 anni, viene trovata morta nella sua abitazione a Garlasco. Alberto Stasi, il fidanzato, chiama i soccorsi.
- 20 agosto: Stasi riceve un avviso di garanzia per omicidio volontario. Inizia l’indagine formale.
- 5 settembre: Viene disposta la prima perizia sulle tracce ematiche e sulla bicicletta di Stasi.
2009
- 15 dicembre: Prima sentenza. Il Tribunale di Vigevano assolve Alberto Stasi per insufficienza di prove.
2011
- 6 dicembre: La Corte d’Appello conferma l’assoluzione.
2013
- 18 aprile: La Corte di Cassazione annulla la sentenza d’appello e dispone un nuovo processo.
2014
- 17 dicembre: Alberto Stasi viene condannato in Appello-bis a 16 anni di reclusione.
2015
- 12 dicembre: La Corte di Cassazione conferma la condanna definitiva. Stasi entra in carcere.
2016
- novembre: Viene effettuata una nuova analisi del DNA su materiale sotto le unghie di Chiara: risulta compatibile con Andrea Sempio.
2017
- 2 marzo: L’inchiesta su Sempio viene archiviata dalla Procura di Milano.
2019 – 2022
- Inizia un’intensa campagna mediatica e legale da parte della difesa di Stasi per riaprire il caso.
2023
- 12 dicembre: La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dichiara “irricevibile” il ricorso della difesa Stasi.
2025
- 7 febbraio: La Corte Europea respinge un secondo tentativo di revisione.
- 11 marzo: Andrea Sempio riceve un nuovo avviso di garanzia per omicidio in concorso.
- 14 maggio: I carabinieri eseguono perquisizioni nelle abitazioni di Sempio e dei familiari. Viene ritrovato un attrezzo compatibile con l’arma del delitto in un canale della zona.
La giustizia può davvero chiudere il caso?
Questo caso solleva interrogativi che vanno oltre la cronaca giudiziaria. In che misura la giustizia può accettare l’assenza di certezze assolute? È legittimo fondare una condanna su un mosaico di indizi, quando manca la “prova regina”? Cosa succede quando una sentenza è definitiva, ma non riesce a convincere pienamente l’opinione pubblica?
E ancora: quale spazio ha la revisione in Italia? A differenza di altri ordinamenti (come quello americano), dove l’errore giudiziario è riconosciuto come un rischio strutturale, in Italia la revisione è considerata un’eccezione rara, quasi impossibile.
Il caso di Chiara Poggi ci pone davanti alla complessità del dolore, della giustizia e della verità. Ci ricorda che non sempre la sentenza è la fine del racconto. A volte, è solo l’inizio di una riflessione collettiva.
La memoria e il senso di giustizia
A 18 anni di distanza da quella tragica mattina d’agosto, la memoria di Chiara Poggi è ancora viva. Ma lo è anche il senso di inquietudine che questo caso ha lasciato nella coscienza collettiva. Un senso di incompiutezza, di verità mai pienamente raggiunta.
La giustizia, si sa, non può riportare in vita le vittime. Ma può, e deve, restituire verità e senso alle loro storie. In questo, il caso Garlasco rappresenta ancora un cantiere aperto. Un nodo irrisolto nel tessuto della società italiana. Un delitto che ha smesso di essere solo un fatto di cronaca, per diventare un simbolo dei limiti – e delle responsabilità – della nostra giustizia.
Aiutaci a far nascere il Progetto Editoriale LaLettera22, contribuisci alla raccolta fondi