La ripresa dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza da parte di Israele ha avuto conseguenze politiche immediate: il governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu si è consolidato.
Itamar Ben Gvir, ex ministro ultranazionalista che aveva lasciato l’esecutivo a gennaio in segno di protesta contro l’accordo di cessate il fuoco, è rientrato nel governo, mentre gli altri leader radicali della coalizione, che avevano minacciato di andarsene, hanno rinnovato il loro sostegno dopo la ripresa delle ostilità.
Un calcolo politico dietro la ripresa della guerra
Le scelte di Netanyahu sulla guerra a Gaza sono sempre state strettamente legate alla sua sopravvivenza politica. Tuttavia, nella decisione di violare il cessate il fuoco siglato a gennaio senza fornire alcuna giustificazione concreta, il vantaggio politico appare come il fattore determinante.
Negli ultimi due mesi, il governo israeliano aveva più volte mostrato segnali di insofferenza nei confronti dell’accordo. La cosiddetta “fase due” dell’intesa prevedeva il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani in cambio del ritiro delle truppe dalla Striscia, un passaggio che avrebbe potuto porre fine al conflitto. Netanyahu, invece, aveva bloccato i negoziati proponendo un’estensione della prima fase, temendo che il completamento dell’accordo portasse alla caduta del suo esecutivo. Gli alleati più estremisti della coalizione, contrari alla tregua, avevano già minacciato di ritirare il loro appoggio in caso di attuazione della fase due.

Israele accusa Hamas, ma la decisione era già presa
Come già accaduto nel rifiuto dei negoziati, Israele ha attribuito la responsabilità della ripresa dei combattimenti a Hamas. Tuttavia, l’analista militare Amos Harel ha scritto su Haaretz: Israele ha consapevolmente violato il cessate il fuoco – con l’approvazione americana – perché non voleva rispettare i termini dell’accordo firmato due mesi fa.
I raid aerei di martedì hanno causato la morte di almeno 400 palestinesi, segnando una delle giornate più violente dall’inizio della guerra. Il ritorno di Ben Gvir nel governo è stato cruciale per Netanyahu, soprattutto in vista dell’imminente voto alla Knesset sul bilancio statale. Senza una maggioranza stabile, il rischio di nuove elezioni era concreto, ma con il rientro dell’ex ministro e il rinnovato sostegno degli alleati estremisti, il premier ha ora maggiori possibilità di far approvare il budget e mantenere il controllo del governo.
Nuove tensioni all’interno dell’intelligence e possibile operazione via terra
La stabilità ottenuta in parlamento potrebbe permettere a Netanyahu di perseguire altri obiettivi politici. Il premier starebbe valutando la rimozione di Ronen Bar, direttore dello Shin Bet, il servizio segreto interno israeliano. Bar si è opposto alla ripresa delle ostilità e lo Shin Bet sta conducendo indagini sulla mancata prevenzione dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, un tema altamente sensibile per l’opinione pubblica israeliana.
Nel frattempo, il governo sta tentando di rilanciare la controversa riforma della giustizia, volta a rafforzare il controllo dell’esecutivo sul sistema giudiziario. Il progetto, che aveva scatenato massicce proteste, è stato in gran parte respinto dalla Corte Suprema, ma Netanyahu potrebbe riproporlo con il sostegno rinnovato degli alleati ultraortodossi e nazionalisti.
L’opinione pubblica israeliana è contraria alla guerra
Se la ripresa della guerra ha consolidato la posizione politica di Netanyahu, il consenso popolare racconta un’altra storia. Secondo un sondaggio dell’Israel Democracy Institute, il 73% degli israeliani è favorevole alla ripresa dei negoziati per la liberazione degli ostaggi. Tra questi, il 56% si definisce conservatore e il 62% è elettore del Likud, il partito di Netanyahu.
Nonostante ciò, il governo starebbe valutando una nuova operazione via terra a Gaza, che comporterebbe il richiamo di migliaia di riservisti per la seconda volta in pochi mesi. Sebbene la leadership israeliana ritenga di avere il pieno sostegno dell’amministrazione statunitense di Donald Trump, la popolazione potrebbe reagire negativamente. Se nell’ottobre 2023, infatti, l’attacco di Hamas aveva generato un’ondata di sostegno alla guerra, una seconda invasione terrestre potrebbe invece scatenare un ampio dissenso.
Aiutaci a far nascere il Progetto Editoriale LaLettera22, contribuisci alla raccolta fondi