A tutte le donne sarà capitato, almeno una volta nella vita, di essere accusate di questa fantomatica “isteria” dopo aver pianto o urlato un po’ più del solito. In un’epoca in cui il libero pensiero ne è padrone, ma sembra utilizzato solo per tornare alle epoche precedenti, sempre più spesso, alla donna, viene adibita una propensione a stati d’animo estremi e inspiegabili agli occhi degli uomini, che fanno sì che essa diventi automaticamente isterica.
Ma a cosa dobbiamo questa etichetta, e perché, dopo secoli dalla sua invenzione, questa parola continua a perseguitarci?
Non preoccuparti, cara: hai solo l’utero vagante
Tornando indietro a circa il V secolo a.C., il primo riscontro con questa diagnosi arriva dall’antica Grecia, grazie alla neonata ricerca di Ippocrate di Coo, padre della medicina scientifica. Lui sostenne che certe donne fossero affette da sintomi fisici e mentali dovuti ad un “vagabondare” autonomo dell’utero all’interno del corpo femminile, e che i sintomi andassero peggiorando più questo organo girasse per il corpo.
Proprio da questa diagnosi deriva il nome di “Hysteria” (ὑστέρα, in greco che significa utero).
Secondo i medici ippocratici, donne nubili e senza figli potevano essere più propense a sviluppare questi disturbi in quanto l’utero non veniva utilizzato per la sua funzione naturale e questo permetteva ad esso di vagare liberamente.
Il rimedio più comodo? Sposarsi e avere figli.
In mancanza di tale opportunità, si poteva sempre tornare ai classici metodi con fumigazioni applicate alle parti intime, oppure il rovesciamento fisico della donna (appendendola a testa in giù) in modo tale da “richiamare” l’utero al suo posto. Non c’è dunque da stupirsi se, con l’avvento del Medioevo e il forte impatto del cristianesimo sulla società, questi casi di emotività e crisi fisiche, che sembravano inspiegabili, venissero spesso confuse per casi di possessione demoniaca o stregoneria, e le donne venissero sottoposte a esorcismi o, addirittura, bruciate al rogo per atti eretici.
Dall’utero vagante ai movimenti femminili: lo stigma del XIX
Nonostante l’avvento di una medicina più moderna, sostenuta dalla crescente popolarità della psicoanalisi, questa inspiegabile malattia non lascia la figura femminile. Nell’epoca vittoriana, si registra un vero e proprio boom di diagnosi di isteria femminile: il dottor Russell Thacher Trall, importante medico americano verso la metà dell’Ottocento, calcolò che i “mali delle donne” costituivano i tre quarti di tutta la pratica medica, ironizzando su come i medici dovessero essere contenti della fragilità femminile in quanto divenuta fonte essenziale per il loro lavoro e sostentamento.
Ma davvero è possibile che così tante donne fossero affette da un disturbo psico-fisico così persistente da impattare anche il loro stile di vita?
La risposta si palesa in ciò che veramente è il disturbo per quella società: qualora una donna adottasse un comportamento al di fuori delle norme sociali e del ruolo adibito alla donna, quale madre e moglie devota con comportamenti estremamente fiacco e gracile, veniva relegata al ruolo di donna isterica e dalle tendenze considerate psicotiche.
Non è dunque un caso che questo aumento esponenziale di casi di isteria nel XIX secolo coincida con i movimenti femministi che iniziavano a radicarsi in tutta europa e nel mondo. Con la nascita della “Nuova Donna” (New Woman), la donna emancipata non è più un sogno, ma prende una forma di realtà: le donne rivendicano la propria libertà da una società opprimente sotto tutti gli aspetti della loro vita.
L’allarme scattò immediatamente nella società conservativa. Il calo dei matrimoni e della natalità in quel periodo si presentò di pari passo con un proliferare di discorsi medici sull’isteria, spesso dipinta come il destino delle donne che deviano dal loro “dovere naturale” perché le donne emancipate venivano ritenute “inadatte ai ruoli pubblici”. E con l’aumentare di queste tendenze anche nelle cerchie ristrette delle donne altolocate, risultava una situazione a dir poco allarmante ed un vero naufragio morale della donna.
Con l’avvento della psicanalisi si diede una vana speranza alla donna di scappare da questa etichettatura: giovanissimo, nel 1880, Sigmund Freud è stato altamente influenzato dagli insegnamenti di Charcot a Parigi (ascoltato personalmente) e dai lavori di Janet. Rientrato a Vienna, Freud, insieme al collega Josef Breuer, sperimentò, con molte sue pazienti, sedute ipnotiche e la “talking cure”, che sono alla base della psicoanalisi e ne hanno gettato per la prima volta le linee. Nel 1895 è uscito Studi sull’isteria (Studien über Hysterie), da cui deriverà tutto il mazzo fiorito di soluzioni a problemi che Freud dette nei Tre saggi sulla Teoria Sessuale. L’opera venne ritenuto un testo programmatico, dove si descrivevano i casi clinici come la nota “Anna O.”, e in cui si esprimeva una teoria, questa che l’isteria fosse la conversione in sintomi fisici di conflitti emozionali irrisolti.
Tuttavia, nonostante Freud avesse stabilito che questo malessere non fosse solo al femminile, ma si palesasse anche negli uomini a frequenza quasi pari alle donne, la società sembrò voltare le spalle a questa nuova visione dell’isteria. Era inconcepibile che un uomo potesse essere suscettibile quanto una donna.
E adesso? Siamo più isteriche che mai.
L’isteria ha reso la donna fragile mentalmente agli occhi della società. Le problematiche reali quali possono essere la depressione, l’endometriosi, epilessia, o, ancora, depressione post-partum, divennero dunque tutte patologie raccolte in una bolla per stigmatizzare i comportamenti della donna ritenuti troppo ingestibili dagli uomini attorno a loro.
A partire dal Novecento la tendenza di minimizzare i mali delle donne in ambito medico è stato fortemente denunciato. I nuovi movimenti, fin dagli anni ‘60 e ‘70, hanno portato alla luce il cosiddetto gaslighting medico – quando le donne riferiscono dolore o disagio venendo liquidate come solo troppo sensibili o esagerate.
Eppure, questa tendenza non prende piede solo in campo medico, ma anche sociale: negli ultimi tempi sono apparsi diversi comportamenti ormai fin troppo conosciuti in cui si istiga all’idea che la donna debba essere tuttora considerata inferiore e con la possibilità di avere solo ruoli inferiori agli uomini in quanti più fragili. Questa mentalità viene sempre più accentuata dai social in cui i giovani si dilettano a scherzare su problematiche che dovrebbero sempre essere trattate con rispetto per chi ha lottato per esse.
Noto è ormai il caso del podcast “Podcasterone”, condotto da Flavio Raponi e Petar Duper, due noti influencer facenti parte dei cosiddetti “gymbro”, finito nell’occhio del ciclone mediatico per via delle loro affermazioni, come quella che le donne sono “troppo emotive per ruoli di leadership”, suggerendo che l’emotività femminile rappresenti un ostacolo per posizioni di potere, e che la loro indipendenza ormai ostacola le relazioni con gli uomini. Ma questo non rimane un caso isolato, bensì inserito in una fitta rete che ha preso piede nelle ultime generazioni sospinto da una politica sempre più stretta ed un’innata sensibilità maschile all’indipendenza femminile.
E le donne come possono rispondere a ciò? Non mancano di certo le risposte a queste provocazioni, e la voce delle donne si fa sentire.
Appare sempre più evidente come la sensibilità maschile sembra avere un gusto totalmente diverso per la società rispetto a quella femminile. Noi siamo le “isteriche”, loro sono “uomini”. Ma c’è davvero tutta questa differenza di reazione tra i sessi? La risposta arriva chiara: no. La sola differenza è l’accanimento contro la nostra mente che rimane per molti un mistero, o troppo complessa da avere la pazienza di capire.
E ancora nel 2025, pur di non essere comprese, ci viene ancora urlato contro: “Siete solo delle isteriche.”
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