Oggi: 29 Giugno 2025
27 Giugno 2025
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Netanyahu risale nei sondaggi dopo l’attacco all’Iran: come la guerra ha rilanciato la sua carriera politica

Dalla crisi post-Hamas al rilancio con l’attacco all’Iran

Fino a pochi mesi fa, Benjamin Netanyahu sembrava prossimo alla fine politica. Travolto dalle polemiche per l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, che causò oltre 1.100 morti e mise in luce il più grande fallimento dell’intelligence nella storia di Israele, il primo ministro era precipitato nei sondaggi e appariva isolato anche all’interno della propria maggioranza.

Le accuse si concentravano sul fatto che Netanyahu avesse trascurato il pericolo rappresentato da Hamas e compromesso la prontezza dell’apparato militare per motivi di lotta interna, anche a causa del durissimo scontro con le forze armate nei mesi precedenti. La sua risposta fu evasiva: nessuna inchiesta pubblica, nessuna assunzione di responsabilità, nessuna visita ai familiari delle vittime. Per settimane evitò funerali e cerimonie pubbliche, alimentando la percezione che stesse semplicemente cercando di salvare la propria carriera. Anche lo scoppio della guerra a Gaza non gli giovò politicamente: sebbene gran parte dell’opinione pubblica israeliana ne sostenesse gli obiettivi ufficiali — la distruzione di Hamas e la liberazione degli ostaggi —, in molti sospettavano che Netanyahu vedesse nel conflitto uno strumento per rinviare il momento della resa dei conti.

Quando poi il governo rifiutò accordi per un cessate il fuoco che avrebbero permesso il rilascio di alcuni ostaggi, insistendo sulla necessità di proseguire le operazioni militari, la sua impopolarità si accentuò ulteriormente. Tuttavia, tutto è cambiato con una serie di operazioni militari mirate contro Hezbollah, il gruppo sciita libanese filo-iraniano: colpire un nemico storico considerato una minaccia reale alla sicurezza ha invertito la tendenza nei consensi. Il vero punto di svolta, però, è arrivato con l’attacco all’Iran nel giugno 2025: una decisione di enorme portata militare e politica, che ha ridefinito lo scenario interno ed esterno. Secondo i sondaggi più recenti, circa il 70% della popolazione — e oltre l’80% tra gli israeliani ebrei — approva l’azione contro Teheran, vista come necessaria per garantire la sopravvivenza dello Stato ebraico. Netanyahu ha fatto ciò che nessun altro leader israeliano aveva mai osato fare: colpire direttamente il cuore del nemico più temuto.

Il consenso popolare risale: sondaggi e sostegno trasversale

L’attacco è stato raccontato dai media israeliani come un successo strategico. I bombardamenti hanno colpito in modo chirurgico diversi obiettivi della catena di comando militare iraniana, causando gravi danni all’apparato difensivo di Teheran. Le perdite israeliane, contenute rispetto alle previsioni, hanno contribuito a consolidare l’impressione di un’operazione efficace e ben gestita: 28 morti in Israele, a fronte di stime iniziali che parlavano di centinaia, e circa 600 vittime iraniane, in maggioranza civili. Se da un lato i numeri umanitari restano drammatici, dall’altro l’opinione pubblica israeliana ha accolto l’intervento come una reazione legittima e difensiva a una minaccia esistenziale.

Ma non si tratta solo di percezioni militari: sul piano diplomatico, Netanyahu ha ottenuto un risultato senza precedenti, convincendo gli Stati Uniti — sotto la guida di Donald Trump — a intervenire direttamente nella guerra, bombardando siti nucleari iraniani. È la prima volta nella storia che Washington colpisce obiettivi interni all’Iran in modo diretto. Questo rafforza la figura del premier israeliano anche sul piano internazionale, mostrandolo come un leader in grado di influenzare le decisioni della Casa Bianca.

In Israele, questa dimostrazione di forza ha avuto un effetto immediato sui sondaggi: il Likud è tornato il primo partito, e la leadership di Netanyahu appare nuovamente salda. Anche la sua comunicazione pubblica si è trasformata: il primo ministro ha ripreso a mostrarsi in pubblico, visitando le città colpite dai missili iraniani, incontrando le famiglie delle vittime e partecipando a eventi ufficiali, segnando una discontinuità netta con il silenzio e la latitanza istituzionale dei mesi successivi al 7 ottobre. Inoltre, la guerra contro l’Iran ha ottenuto un consenso politico trasversale. Per la prima volta da anni, l’opposizione non solo non ha criticato Netanyahu, ma lo ha apertamente sostenuto. Benny Gantz, ex generale e leader centrista, ha dichiarato che «di fronte alla minaccia iraniana, destra e sinistra non esistono. Siamo uniti nella difesa del paese». Questa convergenza politica ha rafforzato l’immagine di Netanyahu come figura istituzionale capace di guidare il paese nei momenti più critici, al di là delle divisioni partitiche.

Verso nuove elezioni in Israele: Netanyahu prepara il terreno

Ora, con i numeri dei sondaggi favorevoli, Netanyahu starebbe valutando seriamente l’ipotesi di convocare elezioni anticipate, per sfruttare il momento e rafforzare il proprio mandato. L’attuale coalizione di destra, pur essendo ancora fragile e lontana dai 61 seggi necessari alla maggioranza assoluta nella Knesset, potrebbe beneficiare della disgregazione dell’opposizione, che è ampia ma divisa. Elezioni convocate nel pieno di un’ondata patriottica legata al successo militare offrirebbero a Netanyahu la possibilità di ricostruire una maggioranza forte, magari anche riformulando alleanze.

D’altronde, la sua carriera politica è sempre stata segnata da cadute e ritorni: più volte dato per finito, è sempre riuscito a reinventarsi. L’attacco all’Iran non è solo un evento bellico, ma un’occasione per riscrivere la narrazione pubblica del suo operato, rimuovendo l’ombra lunga del 7 ottobre e presentandosi come il garante della sicurezza nazionale. Tuttavia, non mancano le incognite: il consenso ottenuto potrebbe rivelarsi fragile, legato all’onda emotiva del momento; le conseguenze diplomatiche e militari della guerra con l’Iran sono ancora tutte da misurare, e la situazione in Palestina resta esplosiva. Inoltre, il rischio di un’escalation regionale non è affatto scongiurato.

Per ora, però, Netanyahu ha ripreso saldamente in mano le redini del paese, ribaltando una crisi che appariva irreversibile. In un paese segnato da emergenze continue e instabilità politica cronica, è riuscito ancora una volta a rimanere al centro del gioco.

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Riminese, classe 1997. Direttrice editoriale di LaLettera22, un portale di informazione nato con l’obiettivo di raccontare la complessità del mondo attraverso l’approfondimento e la divulgazione di varie tematiche culturali.

Dopo la laurea in Lettere e culture letterarie europee presso l’Università di Bologna, ha proseguito il suo percorso accademico specializzandosi in Giornalismo e cultura editoriale all’Università di Parma. Da sempre appassionata di storia, geopolitica e comunicazione, ha trasformato il suo interesse in una missione divulgativa, lanciando il progetto Lettera22 sui social per rendere la cultura più accessibile e stimolare il dibattito su temi di attualità.

Oltre a dirigere il portale, lavora come articolista e social media manager, curando strategie editoriali e contenuti per il web. Il suo lavoro unisce analisi critica, narrazione e innovazione digitale, con l’obiettivo di avvicinare il pubblico a temi spesso percepiti come distanti, rendendoli fruibili e coinvolgenti.

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