Immaginate di essere negli anni ’50, in piena Guerra Fredda. Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica si sfidano a colpi di tecnologia e missioni spaziali.
In questo contesto, nasce uno dei progetti più folli e meno conosciuti della storia: il Progetto A119, un piano per far esplodere una bomba nucleare sulla Luna. Sì, avete letto bene. Gli Stati Uniti volevano fare fuochi d’artificio nucleari sulla Luna per mostrare ai sovietici chi comandava.
Ma perchè proprio la Luna?
Ricorda qualche film di fantascienza, lo so. Ma in realtà in qualche stanza del Pentagono, membri della NASA e militari statunitensi hanno davvero ideato un piano per bombardare la Luna. A rivelarlo, un documento desecretata con una copertina alquanto esplicita:

Uno scudo raffigurante un atomo, una bomba atomica e un fungo atomico. Ma perché proprio la Luna?
Torniamo agli anni ’50 del 1900. Nel pieno della Guerra Fredda, l’Unione Sovietica accelerò la sua corsa allo spazio con il lancio del celebre Sputnik nel 1957. Il primo satellite artificiale in orbita intorno alla Terra. Il programma Sputnik fu un traguardo importantissimo che prese vita nel 1948 grazie all’ingegnere sovietico Sergej Pavlovič Korolëv il quale, basandosi sui progetti dei missili balistici nazisti V2, fu in grado di progettare un sistema di razzi capaci di portare dei satelliti in orbita.
In totale, dal ’57 al ’61 furono lanciati dieci satelliti, tutti sotto la denominazione Sputnik, strumenti fondamentali per ottenere conoscenze fondamentali in campo spaziale, politico, militare, tecnologico e scientifico. Lo Sputnik 1 rimase in orbita e continuò a trasmettere segnali per ben 21 giorni prima che le sue batterie si esaurissero. Poi, continuò a orbitare per altri mesi prima di rientrare nell’atmosfera e distruggersi, il 4 gennaio 1958.

Vien da sè che lo Sputnik 1 non fu solo un satellite: fu una dichiarazione di superiorità tecnologica che mise in crisi l’orgoglio americano.
Oltre al successo dello Sputnik, però, gli Stati Uniti dovettero affrontare un altro colpo: il fallimento del progetto Vanguard. Il 6 dicembre 1957, il Vanguard TV-3, il primo tentativo americano di lanciare un satellite artificiale, esplose pochi secondi dopo il decollo. Una vera umiliazione pubblica trasmessa in diretta televisiva. Nel nuovo scenario geopolitico costruitosi nel secondo dopoguerra, che vedeva USA e URSS come le due potenze mondiali dotate di ordigni nucleari, gli americani non potevano ignorare il vantaggio tecnico che si era dimostrato con lo Sputnik.
La risposta doveva essere spettacolare, e cosa c’era di più spettacolare di una bomba nucleare sulla Luna? Dovevano mostrare a tutto il mondo, e soprattutto ai sovietici, che gli Stati Uniti avevano il dominio tecnologico necessario per compiere un’impresa ancora più impressionante.
L’idea non era solo un capriccio militarista. Gli scienziati coinvolti erano convinti che un’esplosione nucleare sulla Luna avrebbe fornito dati preziosi sugli effetti delle detonazioni nucleari in un ambiente a gravità ridotta e senza atmosfera. Questi dati sarebbero stati utili non solo per la scienza spaziale, ma anche per la comprensione delle armi nucleari e delle loro potenziali applicazioni o mitigazioni.
L’obiettivo era anche quello di alzare il morale dell’opinione pubblica statunitense, terrorizzata dai progressi dell’Unione Sovietica nel campo della tecnologia militare e spaziale.
Missione (Quasi) Impossibile
Un anno dopo, l’Armour Research Foundation iniziò una ricerca sulle potenziali conseguenze di un’esplosione atomica sulla Luna. Il Progetto A119 fu lanciato nel 1958 dall’aeronautica militare statunitense. A capo del progetto c’era Leonard Reiffel, un fisico con un debole per le idee esplosive. Nel team c’era anche un giovane Carl Sagan, destinato a diventare una superstar dell’astrofisica. L’idea era semplice: lanciare una bomba nucleare sulla Luna e farla esplodere per creare uno spettacolo pirotecnico visibile dalla Terra. Un messaggio chiaro ai sovietici: “Non scherzate con noi, possiamo far saltare in aria persino la Luna!”
L’idea consisteva nel far detonare la bomba lungo il Terminatore, ovvero la linea di confine tra il lato visibile e quello oscuro della Luna.

In questo modo l’esplosione sarebbe stata osservabile da chiunque sulla Terra, specialmente dai telescopi del Cremlino. Niente fungo atomico per via dell’assenza di atmosfera, ma l’effetto che avrebbe sortito sarebbe stato ugualmente intimidatorio.
Realizzare il Progetto A119, però, non era una passeggiata. Gli scienziati dovevano trovare un modo per spedire una bomba nucleare sulla Luna. A quei tempi, la tecnologia dei razzi era agli inizi e l’idea di spedire un ordigno nucleare nello spazio sembrava uscita da un film di fantascienza. La bomba scelta era una versione leggera, con una potenza inferiore rispetto a quelle usate su Hiroshima e Nagasaki. L’obiettivo era minimizzare il rischio di contaminazione radioattiva, ma garantire comunque un’esplosione visibile.
Le sfide tecniche erano enormi. Innanzitutto, era necessario sviluppare un missile in grado di trasportare la bomba fino alla Luna, affrontando le enormi distanze e le complessità di una missione spaziale. La bomba stessa doveva essere progettata per sopravvivere al viaggio nello spazio e per detonare in modo controllato una volta raggiunta la superficie lunare. Inoltre, c’erano problemi di sicurezza da considerare: l’eventualità che la bomba esplodesse accidentalmente durante il lancio o il viaggio era un incubo logistico e morale.
Progetto annullato
Il Progetto A119 fu abbandonato nel 1959. Perché? Beh, c’erano diverse ragioni. Prima di tutto, c’erano preoccupazioni etiche e ambientali. Far esplodere una bomba nucleare sulla Luna poteva avere conseguenze imprevedibili e non proprio piacevoli per la Terra. Inoltre, gli Stati Uniti iniziarono a preoccuparsi della propria immagine internazionale. Un gesto così aggressivo avrebbe potuto alienare gli alleati e indignare l’opinione pubblica mondiale. Infine, il presidente Eisenhower decise di puntare su obiettivi più pacifici, come il programma Apollo, che portò l’uomo sulla Luna nel 1969.
Le implicazioni etiche furono un fattore determinante. L’idea di contaminare un altro corpo celeste con radiazioni nucleari era vista come un atto irresponsabile e potenzialmente pericoloso. Inoltre, c’era la paura che un’esplosione nucleare sulla Luna potesse avere effetti imprevisti sulla Terra, come alterare le maree o causare altre perturbazioni ambientali.
Dal punto di vista politico, un gesto così aggressivo avrebbe potuto essere interpretato come un atto di guerra, aumentando le tensioni già altissime della Guerra Fredda. Gli Stati Uniti, cercando di mantenere un’immagine di potenza ma anche di responsabilità, decisero che il rischio non valeva la pena. Inoltre, con l’avanzare delle tecnologie e delle strategie spaziali, divenne chiaro che raggiungere la Luna e compiere imprese scientifiche avrebbe avuto un impatto maggiore e più positivo rispetto a un’esplosione nucleare.
Inoltre gli scienziati temevano che la contaminazione della Luna con materiale radioattivo potesse provocare danni ingenti alla Terra. Il fisico Reiffel, nell’intervista all’Observer, dichiarò di non sapere i reali motivi per cui il progetto fu improvvisamente abbandonato, ma suggerì che quella fosse la decisione giusta.
In conclusione, il Progetto A119 ci ricorda quanto l’umanità sia stata (e continui ad essere) disposta a spingersi oltre i confini dell’immaginabile per dimostrare il proprio potere. E per fortuna, in questo caso, il buon senso ha prevalso.
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