Il 29 aprile 2025, il Parlamento ungherese ha approvato la proposta del governo di Viktor Orbán di avviare il ritiro del Paese dalla Corte Penale Internazionale (CPI). Questa decisione, annunciata all’inizio di aprile durante la visita a Budapest del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, segna un punto di svolta nelle relazioni dell’Ungheria con le istituzioni internazionali.
Cos’è la Corte Penale Internazionale (CPI)?
La CPI, con sede all’Aia, è un tribunale internazionale istituito nel 2002 per perseguire individui accusati di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimini di aggressione.
Fondata dallo Statuto di Roma del 1998, la CPI è indipendente dalle Nazioni Unite e opera quando gli Stati membri non sono in grado o non vogliono perseguire tali crimini. Attualmente, oltre 120 paesi hanno ratificato lo Statuto di Roma, tra cui l’Ungheria, che lo ha firmato nel 1999 e ratificato nel 2001.
Le motivazioni del ritiro ungherese
Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha dichiarato che l’Ungheria si rifiuta di far parte di un’istituzione “politicizzata che ha perso la sua imparzialità e credibilità”. Il primo ministro Orbán ha sottolineato che la decisione è stata presa in risposta al mandato di arresto emesso dalla CPI nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per presunti crimini di guerra nella Striscia di Gaza. Orbán ha criticato la CPI definendola un “tribunale politico” e ha affermato che l’Ungheria non ha mai pienamente integrato lo Statuto di Roma nel proprio ordinamento giuridico, rendendo la sua adesione “a metà”.
L’Ungheria è il primo Stato membro dell’Unione Europea a ritirarsi dalla CPI, una mossa che solleva preoccupazioni sulla coesione e sui valori condivisi all’interno dell’UE. La decisione potrebbe influenzare le relazioni dell’Ungheria con gli altri Stati membri, molti dei quali sostengono fermamente la CPI e la giustizia internazionale. La Commissione Europea non ha ancora rilasciato una dichiarazione ufficiale, ma è probabile che la questione venga discussa nei prossimi incontri tra i leader europei.
Reazioni internazionali
La decisione dell’Ungheria ha suscitato reazioni contrastanti a livello internazionale. Il primo ministro israeliano Netanyahu ha accolto con favore il ritiro ungherese, lodando l’azione come un segno di solidarietà. Negli Stati Uniti, l’ex presidente Donald Trump ha espresso sostegno alla decisione durante una conversazione telefonica con Orbán e Netanyahu. Tuttavia, organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International hanno criticato la mossa, affermando che il ritiro non esonera l’Ungheria dalle sue responsabilità legali, inclusa l’esecuzione dei mandati di arresto esistenti.
Secondo lo Statuto di Roma, il ritiro di uno Stato membro dalla CPI diventa effettivo un anno dopo la notifica formale al Segretario Generale delle Nazioni Unite. Durante questo periodo, l’Ungheria è ancora legalmente obbligata a cooperare con la CPI, inclusa l’esecuzione di eventuali mandati di arresto. Questo solleva interrogativi su come l’Ungheria gestirà le sue responsabilità internazionali nei prossimi mesi, soprattutto in relazione a figure come Netanyahu, che potrebbero visitare il paese.
Impatto sulla giustizia internazionale
Il ritiro dell’Ungheria dalla CPI potrebbe avere un effetto domino, incoraggiando altri paesi a seguire l’esempio, specialmente quelli con governi che criticano le istituzioni internazionali. Questo potrebbe indebolire l’autorità della CPI e compromettere gli sforzi globali per perseguire i crimini più gravi. Inoltre, la decisione ungherese potrebbe influenzare le dinamiche geopolitiche, rafforzando le alleanze tra paesi che condividono una visione scettica delle istituzioni multilaterali.
La decisione dell’Ungheria di ritirarsi dalla Corte Penale Internazionale rappresenta un momento critico per la giustizia internazionale e per l’unità dell’Unione Europea. Mentre il governo ungherese giustifica la mossa come una difesa della sovranità nazionale contro un’istituzione politicizzata, molti osservatori temono che possa segnare un passo indietro nella lotta globale contro l’impunità per i crimini più gravi. Il prossimo anno sarà determinante per osservare le conseguenze di questa decisione e per valutare la resilienza delle istituzioni internazionali di fronte a tali sfide.
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