Al Forte di Bard, luogo che merita una visita già da sé, è allestita la mostra “Questa è pittura” dedicata a Emilio Vedova, gigante della pittura italiana ed europea del secondo dopoguerra, vissuto tra il 1919 e il 2006.
Curato da Gabriella Belli, il progetto presenta l’opera di Vedova nella sua valenza pittorica, senza alcuna lettura che voglia essere dettagliatamente storica o socio-politica. Il forte al confine tra Piemonte e Valle d’Aosta offre ai visitatori ben 31 maxi dipinti e 22 opere su carta dell’artista veneziano.
Emilio Vedova
Si cerca di indirizzare lo sguardo verso l’eccellenza della sua pittura, che stupisce per la folgorazione del colore e la vitalità della sua materia.
Non a caso, del resto, Emilio Vedova è stato uno degli artisti d’avanguardia più influenti del ‘900: libero, dissidente, curioso e ribelle, ha tradotto nelle sue opere tutto suo impegno civile. Emerge così il profilo di un artista di altissimo talento, capace di una dote rarissima: stare nella Storia mentre scorre. Vedova lavora nei cinquant’anni che seguono la tragedia della seconda guerra mondiale, e rappresenta nelle sue opere tutte le voci del mondo, compresa la sua, più intima ed esistenziale.
La vita
Emilio nacque in una famiglia di artigiani e operai, quindi lavora prima in fabbrica, poi con un fotografo e ancora nella bottega di un decoratore. Da ragazzo già eseguiva schizzi veloci mentre viaggiava. Del resto, i suoi tratti veloci e nervosi caratterizzeranno tutti i suoi lavori, imprimendo il suo stile inconfondibile. I suoi primi studi da pittore si concentrano sulla grande tradizione veneziana: Tiziano e Tintoretto, ma anche Rembrandt e Goya.
Si trasferisce a Firenze per frequentare una scuola di nudi, e qui entra in contatto con gli antifascisti. Tornato a Venezia si barcamena in costante povertà, pur riuscendo a esporre i suoi primi nudi e nature morte. Entra in contatto con Guttuso e Birolli, e dal ’44 partecipa attivamente alla Resistenza, tra Roma e il Piemonte. Nel 1946, a Milano, è tra i firmatari del manifesto “Oltre Guernica”. A Venezia è tra i fondatori della Secessione Italiana, diventata poi il Fronte Nuovo delle Arti.
Nel ’48 partecipa alla sua prima Biennale di Venezia. Quattro anni dopo un’intera sala gli sarà dedicata, inaugurando il passaggio dal geometrismo alla totale spontaneità del segno. Alla prima Biennale di San Paolo vince un premio che gli permetterà di trascorrere tre mesi in Brasile, e qui si concentrerà sulla maestosità della Natura. Agli inizi degli Anni ’50 lo invitano a esporre a New York la serie delle sue “geometrie nere“.
Tra il 1959 e il 1962 i suoi quadri si scompongono uscendo dalle tele per adattarsi agli angoli tra pareti e pavimento, disorientando l’osservatore. Nel 1960 vince il Gran Premio per la pittura. Lavora in molti teatri per le scenografie. Dal 1961 lavora ai cosiddetti “Plurimi”: prima a Venezia, poi a Berlino, dove ammira i dadaisti.
Negli Anni ’70 realizza i Plurimi Binari, dove supporti metallici ingabbiano i suoi “quadri spezzati”. Negli Anni ’80, superata una malattia che lo vede degente in Austria, realizza i Teleri: grandi tele polimateriche sulle quali imprime esplosioni di colori. Dal 1985 lavora ai Dischi e ai Tondi, in cui amplia il concetto rinascimentale del formato circolare del quadro, fini ai limiti estremi: il colore straborda dai confini del supporto, e la tela si stacca dalla parete per raggiungere soffitto e pavimento. Nel 1984 collabora con Luigi Nono al progetto “Prometeo“, insieme a Claudio Abbado, Massimo Cacciari e Renzo Piano.
Alla sua morte, la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma e la Berlinische Galerie di Berlino gli dedicano grandi mostre monotematiche.
La tecnica
Dipinge utilizzando tutte le tecniche possibili, alcune veri azzardi o pura sperimentazione: il disegno con pastelli, acquarelli, carbone, sabbia e cemento; o la scultura con assemblaggi di materiali inconsueti.
Quando nel 1983 gli chiesero se gli piacesse dipingere, lui rispose: “Non direi che mi faccia piacere! È un complesso maledetto. Ci si sporca tutto, sono lacerazioni.
No, non è bello, ma è così, è più forte di me capitare là dentro. Non sono soltanto i pennelli che lavorano, ma le mani, il corpo, la mente. Cerco di raccogliere segni che si accavallano, mettendo in croce questa iniziazione”.
Il messaggio
Vedova, come diceva lui stesso, rappresenta “l’uomo e il suo spazio, inteso come spazio delle passioni… lo spazio dell’uomo nelle sue contraddizioni”. Sono parole di grande attualità. Come attuale è la sua dichiarazione del 1963: “Gesto è anche quello informale del muro, della macchia, del segno. C’è una situazione che fa capo a un informale tipicamente europeo, quello della disfatta della coscienza a Hiroshima, a Buchenwald. Gesto è quello della protesta, dell’urto, che pur dopo la coscienza di questi fatti ancora una volta riesce a sperare”.
La mostra a Bard sarà aperta al pubblico fino al 2 luglio. E merita assolutamente una visita.
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