Oggi: 8 Agosto 2025
18 Giugno 2025
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L’apocalisse nucleare: il fantasma tra Iran e Israele

Arriva la dichiarazione dei leader del G7 sulla crisi Israele/Iran, sottoscritta anche da Trump. “Ribadiamo il nostro impegno per la pace e la stabilità in Medio Oriente.

Affermiamo che Israele ha il diritto di difendersi. Ribadiamo il nostro sostegno alla sicurezza di Israele. Affermiamo inoltre l’importanza della protezione dei civili. L’Iran è la principale fonte di instabilità e terrore nella regione“, scrivono i leader. “Siamo sempre stati chiari sul fatto che l’Iran non potrà mai possedere un’arma nucleare. Esortiamo affinché la risoluzione della crisi iraniana porti a una più ampia de-escalation delle ostilità in Medio Oriente, compreso un cessate il fuoco a Gaza. Resteremo vigili sulle implicazioni per i mercati energetici internazionali e saremo pronti a coordinarci, anche con partner che condividono gli stessi ideali, per salvaguardare la stabilità del mercato“, concludono.

La minaccia nucleare per il G7 sembra tradursi in minaccia economica, quindi. Concetto un pò difforme dalla “minaccia esistenziale” che rappresenta invece l’Iran per Israele. A tal punto che le basi di ricerca e produzione nucleare iraniane sono diventate gli obiettivi principali dell’attacco israeliano. Ma se questa è la causa scatenante del conflitto, la causa pregressa possiamo ritrovarla nel grande sogno di Israele: la rimozione del regime iraniano. In base a questo spirito ecumenico globale, quindi, Israele avrebbe agito “non solo per proteggere noi stessi, ma per proteggere il mondo da questo regime incendiario“, come va affermando Nethanyau. Che dopo la prima ondata di attacchi, ha invitato “il popolo iraniano a unirsi attorno alla sua bandiera e alla sua eredità storica, lottando per la propria libertà dal regime malvagio e oppressivo“. Alleluja. Alleluja.

Un obiettivo serio? Certo “sarebbe uno scenario da sogno per l’establishment politico israeliano“, ha detto la professoressa Sanam Vakil, tra i massimi esperti di studi iraniani. Ma c’è differenza tra un sogno e un obiettivo realistico. “Fin dagli attacchi del 7 ottobre, in Israele c’è stato un consenso sul fatto che l’Iran debba essere ridimensionato. Ma in privato, i funzionari militari e dell’intelligence tendono a considerare il cambio di regime molto difficile da realizzare“, ribadisce la professoressa. Molto meno chiaro è cosa Netanyahu e i suoi alleati vogliano veramente, o credano sia fattibile. “Considerare l’Iran la principale minaccia alla sicurezza e il nemico di Israele è qualcosa di cui parla da vent’anni“, ha detto Vakil.

Finora la politica estera israeliana si era generalmente concentrata sul contenimento piuttosto che sullo scontro diretto, ma questo è in parte dovuto al fatto che i precedenti presidenti degli Stati Uniti, e persino Trump nel suo primo mandato, sono stati meno tolleranti nei confronti dell’aggressione israeliana di quanto appaia ora la Casa Bianca. Dal 7 ottobre, i piani di Israele sono cambiati: oggi, nella migliore delle ipotesi, possono cercare di indebolire il regime e lasciare che le tessere del domino cadano da sole.

Maryam Alemzadeh, professoressa di politica iraniana a Oxford, sostiene che Israele “vuole uno Stato intransigente che cerchi di vendicarsi e di fare di Israele la vittima, ma non riesce a inffiggere danni significativi“. Secondo lei, un cambio di regime significherebbe in definitiva che “l’Iran, il nemico fittizio su cui Israele fa affidamento, scomparirebbe“.

L’appello di Netanyahu al popolo iraniano sembrerebbe puntare al fatto che l’instabilità creata dagli attacchi israeliani alimenti il già profondo malcontento in Iran, provocando così una rivolta popolare. In un Paese di oltre 90 milioni di persone con libertà di espressione pubblica minima, se non assente, è palesemente ridicolo affermare di sapere cosa vuole “il popolo iraniano”. A ragion veduta, è forse più probabile che gli attacchi israeliani abbiano l’effetto opposto.

Il Ministero della Salute iraniano afferma che il 90% delle vittime finora sono civili; il Ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha minacciato che “gli abitanti di Teheran pagheranno il prezzo, e presto” per la rappresaglia. “Ǫuesto non è ben visto in Iran“, ha detto Alemzadeh. “Forse c’è arroganza nel chiedere a persone a lungo oppresse dal loro governo di uscire allo scoperto e rovesciare il regime in risposta a un attacco israeliano. Ǫuello che Israele e Netanyahu stanno facendo è creare ulteriore antipatia tra una popolazione civile che non era affatto molto entusiasta di Israele“. Ǫuindi, pur tralasciando le scarse prospettive di un’improvvisa rivolta popolare, Israele potrebbe sperare che i suoi attacchi accelerino la destituzione del regime con altri mezzi. La Repubblica Islamica è stata chiaramente indebolita dall’attacco di Israele: potrebbe certamente essere l’inizio di una trasformazione, e si potrebbe immaginare un effetto a catena che porti nuove persone al vertice. Però se il successo di Israele nell’uccidere alti vertici militari ha scioccato l’establishment iraniano, l’impatto sulla leadership civile e clericale è stato minimo. Lo Stato iraniano non è così instabile da far sì che la perdita di singoli individui possa accelerare un cambiamento radicale. Il simbolismo dell’eliminazione del vertice dell’IRGC [Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica], è importante, traumatico e imbarazzante per la Repubblica Islamica, ma sarebbe un po’ troppo trionfale pensare che ciò significhi il crollo del regime, insomma.

Domenica scorsa l’agenzia Reuters ha riportato un’affermazione sorprendente da parte di alti funzionari statunitensi: Israele aveva un piano per uccidere la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ma la Casa Bianca gli aveva posto il veto. Se un’operazione del genere avesse avuto successo, la frattura nelle strutture politiche dell’Iran sarebbe stata ancora più profonda. Ma l’Iran non è come l’Iraq di Saddam Hussein o la Libia di Gheddafi, dove un potere così grande era affidato a una singola persona, e ci si poteva aspettare che la sua rimozione avrebbe portato a un cambiamento radicale. Il potere in Iran è istituzionalizzato, non personalizzato, e sarebbe un duro colpo, ovviamente. Ma il regime si riunirebbe rapidamente e deciderebbe il da farsi. Del resto, l’Iran sta già pianificando un futuro senza l’86enne Khamenei. Gli scenari plausibili vanno da una guerra civile settaria con un vuoto di potere al centr, fino a un colpo di stato da parte del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche. Una democrazia pluralistica non rientra nella lista.

A Teheran non c’è un’opposizione organizzata, e quella in esilio ha pochi amici in patria. All’interno del Paese c’è paralisi. Si può affermare con sicurezza che la maggior parte del Paese è profondamente insoddisfatta della leadership della Repubblica Islamica, ma sono scarse le speranze che gli iraniani possano articolare un’opinione coerente.

Intanto Rafael Grossi, capo dell’organismo di controllo nucleare delle Nazioni Unite, avverte che il conflitto israeliano con l’Iran “minaccia vite umane” e rischia ricadute nucleari.

Le dichiarazioni del capo dell’AIEA arrivano mentre molti temono che si nullifichino gli sforzi per riprendere i colloqui sul nucleare con Teheran, già compromessi da anni di sfiducia e dal sabotaggio di Trump dell’accordo sul nucleare del 2015. Grossi ha anche fornito un aggiornamento tecnico sullo stato degli impianti nucleari iraniani dopo i bombardamenti israeliani.

Natanz, il principale impianto di arricchimento dell’uranio iraniano, è stato tra i siti colpiti venerdì. Sebbene la sua sezione sotterranea sia stata risparmiata da un attacco diretto, Grossi ha avvertito che le attrezzature vitali potrebbero essere state danneggiate a causa di un’interruzione di corrente innescata dall’attacco. Ha anche osservato che i livelli di radiazione all’esterno dell’impianto sono rimasti normali e non vi sono prove di contaminazione diffusa oltre il sito. “Il livello di radioattività all’esterno del sito di Natanz è rimasto invariato e a livelli normali, il che indica che questo evento non ha avuto alcun impatto radiologico esterno sulla popolazione o sull’ambiente“, ha affermato. E menomale, diremmo noi.

Oltre a Natanz, anche altri quattro impianti nucleari nella provincia di Isfahan sono stati danneggiati. Tuttavia, il sito di arricchimento di Fordow, la centrale nucleare di Bushehr e un reattore ancora in costruzione sembrano non essere stati interessati. Intanto il personale dell’AIEA rimane sul campo in Iran ed è pronto a riprendere il monitoraggio completo non appena la situazione della sicurezza lo consentirà. Al contempo il governo iraniano sta subendo pressioni interne affinché adotti una linea più dura. Un disegno di legge, secondo quanto riferito, in fase di preparazione in parlamento potrebbe aprire la strada all’uscita dell’Iran dal Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, una mossa che infliggerebbe un duro colpo agli sforzi globali di non proliferazione. Il portavoce del Ministero degli Affari Esteri, Esmaeil Baghaei, ha affermato che il progetto di legge è ancora nelle sue fasi iniziali e richiederà il coordinamento con i legislatori. Ha ribadito la storica opposizione ufficiale di Teheran allo sviluppo di armi nucleari.

 

 

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Giornalista pubblicista. Vive a Torino con due figlie, due gatti e un cane. Laurea in Scienze Politiche Economico/Internazionali e Master ISSMI - Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze.
È stata ricercatrice al Centro Alti Studi per la Difesa, esperta di diritto internazionale. Tuttora analista di geopolitica.
Appassionata di letteratura, running, pianoforte e studi classici, ha pubblicato un romanzo e diverse poesie. Ha scritto per L'Avanti! fino al 2023, oggi scrive per la rivista letteraria Il Chaos e per il bimestrale cartaceo L'Autiere. È vicedirettrice del quotidiano online La Giustizia. È socia del Club di Cultura Classica e di Reporters sans frontières.

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